Omelia per la Veglia Pasquale nella Notte Santa
Cattedrale di Cagliari, 19 aprile 2025
1. La veglia di questa santissima notte è iniziata nel buio, nelle tenebre dell’assenza di Dio. Anche il nostro peccato ha tentato di togliere dalla faccia della terra lo Sposo, ma senza di Lui, cacciandolo dal cuore della vita, dagli interessi, dalle relazioni, tutto diventa buio.
In questo buio, iniziato con il tramonto del venerdì, c’è chi attende con fiducia. Nella Liturgia bizantina per il Santo e Grande Sabato si canta questa preghiera messa in bocca a Maria: «Figlio e Dio mio, se anche sono ferita nelle mie viscere e dilaniata nel cuore vedendoti morto, io ti celebro poiché ho fiducia nella tua resurrezione».
Il Sabato Santo, per Maria, è pieno di un dolore dilaniante, come quello di tanti uomini e donne provate nella carne, nello spirito e nell’anima, ma anche di speranza nella promessa, di fiducia ultima che diventa invocazione: «Risorgi misericordioso facendoci risorgere dalle voragini dell’Ade. / Risorgi datore di vita piangendo dice la madre che ti ha generato».
Come non possiamo far nostra questa supplica, noi che conosciamo il dolore di chi vede tramontata la bellezza del vivere a causa della sua fragilità, dell’insulto del peccato, della malattia e della guerra, della violenza, di un’esistenza sbiadita della quale non si scorge più il valore e la direzione? Come Cristo ha raccolto nella sua croce il dolore di tutti gli uomini, così la nostra preghiera, stanotte, deve saper sommare le loro suppliche. Siamo, o Signore che ami gli uomini, colpiti nelle viscere e nel cuore, e per questo, con fiducia e speranza, ti preghiamo, o Misericordioso, risorgi! Vinci tu la morte, sana tu le ferite, perdona tu le colpe, strappa tu i vincoli che ci fanno schiavi delle cose vane. Cristo risusciti in tutti i cuori!
Invochiamo la risurrezione con fiducia e scorgiamo già, in questa celebrazione, segni di speranza. La notte non è interamente buia e muta. Abbiamo insieme ripercorso, nell’attesa dell’annuncio pasquale, la storia della salvezza, per risentire le promesse di Dio. Non solo. Nel buio abbiamo benedetto il “fuoco nuovo” comune e acceso le candele di ciascuno. C’è qualcosa di nuovo nel mondo, e siamo noi, c’è un segno di luce e di amore che arde ed è già promessa e pegno del sole pieno. L’uomo che mendica la salvezza può scorgere, anche nelle tenebre di questo mondo, delle luci e ascoltare parole di speranza che legittimano l’attesa.
2. «È risorto» (Lc 24,6). Sempre la Liturgia bizantina del Sabato Santo: «Venuto al mondo senza seme, trafitto nel costato, Creatore mio, da esso hai realizzato una nuova creazione di Eva diventando tu Adamo. Dopo esserti addormentato in modo soprannaturale nel sonno che genera vita, la vita hai svegliato dal sonno e dalla corruzione poiché sei onnipotente». Dal costato lacerato di Cristo nasce una creazione nuova, l’amore del Crocifisso è fecondo, poiché Egli, addormentandosi nella morte, ha svegliato la vita dal torpore e l’ha liberata dalla corruzione. La morte di Cristo, nuovo Adamo, sveglia la vita e libera dalla corruzione. Cristo è davvero risorto!
Cari fratelli e amici, la gioia di questa notte santissima è la certezza di essere stati rigenerati dall’amore di Cristo e destinati a una vita che non si corrompe, che non viene sprecata, che non è perduta. Uniti intimamente al Signore risorto, «la morte non ha più potere» e possiamo divenire «viventi per Dio, in Cristo Gesù» (cf. Rm 6,8-11).
La Chiesa nasce dal costato di Cristo come nuova creazione. La presenza di questi catecumeni ci riempie di gioia per la certezza che la creazione continua a rinnovarsi e che il Signore morto e risorto continua ad attrarre alla bellezza della risurrezione figli e figlie di ogni popolo, lingua e nazione. Carissimi catecumeni, fratelli, le vostre storie, il vostro cammino, la vostra decisione ci confortano perché confermano che il Signore ridesta ancora la vita, che la nuova creazione continua a sgorgare dal suo costato ferito per amore! Siete il segno, quasi la prova, che il Signore è davvero risorto!
L’Anno Santo che stiamo vivendo ci invita a riscoprire, con immensa gratitudine, il dono della vita nuova ricevuta nel Battesimo, il cui valore sta nell’essere uniti intimamente al Signore per poter risorgere in Lui. Il Battesimo forse non toglie il dramma del vivere ma lo trasfigura, mutandolo in esperienza d’amore e quindi in gioia indicibile, non effimera, non condizionata dal benessere o dai risultati conseguiti. Riscoprire questo dono nuovo della vita del battesimo significa riscoprire, con gratitudine, la libertà, perché la vita è salvata da qualcosa che nessuno può toglierci, dall’iniziativa di Chi è più forte di ogni male, che entra nella stanza dove siamo rintanati per paura anche quando le porte sono chiuse (cf. Gv 20,19.26). La vita è unicamente salvata dal rapporto personale, intimo, con Cristo. «Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione» (Rm 6,5). La vita nuova è esperienza di vera libertà! Siete qui perché il Signore vi ha conquistati. Il senso della vita è nell’essere stati conquistati da Cristo Signore, la pace è nell’abbandonarsi a Lui con fiducia.
3. Dalla risurrezione, la nostra speranza. Insegna il Papa: «La speranza cristiana consiste proprio in questo: davanti alla morte, dove tutto sembra finire, si riceve la certezza che, grazie a Cristo, alla sua grazia che ci è stata comunicata nel Battesimo, “la vita non è tolta, ma trasformata”, per sempre. Nel Battesimo, infatti, sepolti insieme con Cristo, riceviamo in Lui risorto il dono di una vita nuova, che abbatte il muro della morte, facendo di essa un passaggio verso l’eternità» (Spes non confundit 20).
Se la speranza cristiana la si riceve come dono dal Battesimo, la familiarità con i testimoni, con i santi che tra noi non mancano mai, ci aiuta a custodirla, a renderla feconda, a trasmetterla, come per contagio, alle persone che incontriamo. C’è troppa stanchezza nel mondo, violenza, pigrizia e amarezza. Contro la speranza militano la disperazione e la presunzione. Assumiamo il ministero degli angeli verso le donne (Lc 24,5-7) e delle donne verso gli apostoli (Lc 24,9): andiamo verso gli uomini per annunciare la risurrezione, per comunicare la novità che ha trasformato la nostra vita, per sostenerne la speranza.
La speranza della risurrezione fa comprendere che il valore di ogni cosa e di ogni gesto è nel suo rapporto con l’eternità, con l’infinito di Dio. Possiamo amare, lavorare, perdonare, costruire una nuova società, nella speranza del traguardo a cui tendiamo nel nostro pellegrinaggio terreno (cfr. Rm 6,22). Nulla è allora banale. Non è questa, forse la santità, tendere a un di più, vivere ogni circostanza presente in vista della meta, in rapporto all’eternità? Nulla allora per questa vita nuova risulta banale.
La nostra speranza è sempre anche speranza per gli altri, essendo intimamente connessa all’amore per il prossimo. Quanti fratelli non conoscono il sostegno e il calore di una amicizia, di una compagnia fedele e misericordiosa e consumano le loro giornate nella solitudine! La speranza cristiana è patrimonio di tutta la comunità credente che in questo modo splende come segno per l’umanità intera: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,3-6).
Cari amici, noi siamo uniti non perché la pensiamo allo stesso modo ma perché riconosciamo con commozione che il Signore è in tutti e sta operando in tutti, e tutti chiama all’unica speranza. L’annuncio della risurrezione è l’annuncio di questa (umanamente impensabile) unità fraterna.
Ecco, cari fratelli, la luce che siamo chiamati a far brillare nel mondo quale segno di speranza: la testimonianza di una vita conquistata dall’amore di Cristo e per questo fatta nuova, ossia trasformata interamente nei suoi risvolti personale, familiari e sociali; la testimonianza di una vita vissuta come pellegrinaggio, come corsa, per la speranza di vita piena e bella, sveglia e non corrotta, contro ogni tentazione di disperazione e di presunzione; la testimonianza di una unità di amicizia e fraternità, che è il Corpo stesso del Signore risorto, un’unità mai chiusa, ma sempre aperta all’abbraccio di ogni uomo, perché la “nuova creazione” ha il volto e l’amore della Madre.