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Messaggio dell’Arcivescovo per la Pasqua 2025

Messaggio dell’Arcivescovo per la Santa Pasqua 2025

Durante la Messa del giorno di Pasqua, risentiremo un famosissimo episodio: quello dei due discepoli in cammino verso Emmaus (Lc 24,13-35). Un episodio che ci aiuta a comprendere la dinamica della speranza, che caratterizza questo Anno Santo, nel quale la Pasqua è davvero un brillante, una perla preziosa da saper guardare e accogliere.

Tutti noi conosciamo “Emmaus”, perché tutti, almeno una volta, siamo stati un po’ scoraggiati. Ci sono stati momenti in cui le intemperie della vita, lo sconforto e le delusioni ci hanno fatto sentire come se ciò in cui avevamo sperato non fosse fondato. E forse abbiamo anche pensato: “Non c’è più Gesù, colui che ci animava, non c’è più”. Perché ce l’hanno tolto?

Ebbene, ciò che è decisivo in quella storia – che è anche la storia della nostra vita e della speranza cristiana – non è l’annuncio verbale della risurrezione del Signore. I discepoli, infatti, quell’annuncio lo avevano ricevuto dalle donne, ma non avevano creduto. Ciò che è decisivo è l’incontro: l’incontro con un viandante misterioso che si avvicina, si accompagna a loro, li interroga e spiega.

E spiega la vita, spiega le Scritture, le promesse di Dio e anche la necessità della sofferenza. Gesù si fa riconoscere dentro un incontro, in ciò che accade nel nostro presente. Non è un semplice annuncio verbale, né un ricordo – pur bello – del passato a sostenere i passi dell’uomo.

Serve l’incontro con un Dio vivo, capace di accendere il cuore e di aprire la mente e gli occhi.

Gesù si manifesta sempre capace di cambiare lo sguardo sulla vita. È un vero incontro, quello che i discepoli fanno lungo la strada per Emmaus, perché li aiuta a vedere con occhi nuovi. Devono guardare la vita che hanno vissuto e che pensavano di aver già compreso, e per farlo non basta una nuova opinione: servono occhi nuovi.

Quel viandante misterioso offre loro proprio questo: occhi nuovi per rileggere e ritrovare il senso profondo di una storia che avevano frettolosamente archiviato, fuggendo da Gerusalemme. È un incontro che diventa affettivo, che nasce dal desiderio di una compagnia: «Resta con noi, perché ormai si fa sera». È la richiesta che quella presenza, pur non ancora pienamente riconosciuta, non venga meno.

Nelle vicende belle e tristi della vita, in questo mondo scomposto, segnato dalla guerra, dal dolore a Gaza, in Ucraina, come nel Sud Sudan, «resta con noi» è il grido di chi chiede compagnia. Quei due discepoli erano soli e non sono più soli. Così come noi, nella grande compagnia di Dio, che in Gesù Cristo si fa sempre vicino.

Siamo noi, ma non siamo solo noi. C’è Qualcuno di più grande che cammina a fianco e ci sostiene. Ed è proprio nell’atto conviviale, nel gesto della condivisione d’amicizia, che Gesù si lascia riconoscere.

Gli occhi dei discepoli – il cui cuore già ardeva – si aprono in un riconoscimento stupito e amoroso. Senza indugio, tornano a Gerusalemme per ricevere il grande annuncio della risurrezione e raccontare ciò che è accaduto loro lungo la via. Senza indugio.

Cari amici, cari fratelli e sorelle, senza indugio torniamo anche noi alla nostra vita solita, in famiglia e al lavoro, nei giorni dopo la Pasqua, ma certi che Qualcosa di grande è accaduto, è riaccaduto lungo la strada della nostra vita. Riprendiamo coraggio, riprendiamo forza, riprendiamo vigore, in un tempo in cui l’umanità appare sfinita – come dice la liturgia – a causa della sua debolezza mortale. C’è il buio, c’è il dolore, c’è la guerra, c’è l’incertezza per il futuro, ma lungo la strada non siamo soli, il Signore si avvicina e cammina con noi, ci fa ardere il cuore perché possiamo ritrovare la speranza.

Chiediamo occhi buoni, energia, vigore e semplicità di cuore, per andare – senza indugio – incontro ai nostri fratelli, portando il più grande degli annunci: Dio è con noi, Cristo vive, la nostra speranza è ben fondata.

Buona Pasqua.

Giuseppe Baturi
Arcivescovo

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