Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la liturgia Penitenziale per i giovani

Liturgia Penitenziale per i giovani in preparazione alla Pasqua
Giovedì 10 aprile 2025 presso la parrocchia SS. Crocifisso

Lo scopo di un’azione liturgica come questa non è quello di alimentare un certo gusto per l’introspezione e l’autoanalisi, ma semmai quello di celebrare la misericordia di Dio, Padre tenerissimo e provvidente. Il vangelo delle ultime domeniche deve aiutarci a sentire nella nostra vita i segni di questa misericordia che ci libera dal peso del passato e impedisce che siamo identificati con il nostro errore. Il figlio prodigo ogni giorno passato in casa avrà pensato che la sua vita dipendesse dall’abbraccio del padre, così come l’adultera ogni giorno avrà ricordato come la vita gli fosse stata ri-donata da Gesù.

Nel Rito della Penitenza leggiamo questa bella introduzione alla celebrazione del sacramento: «Il Signore, che illumina con la fede i nostri cuori, ti dia una vera conoscenza dei tuoi peccati e della sua misericordia». La conoscenza del peccato avviene per la conoscenza della misericordia di Dio. L’uno sta davanti all’altra. Solo davanti a un volto di puro amore noi conosciamo noi stessi, con dolore e non vergogna del male, e possiamo sperare in una vita nuova. Ha detto Papa Francesco: «Il luogo privilegiato dell’incontro con Cristo è il mio peccato». La coscienza del nostro male, infatti, genera, o può generare, l’attesa della salvezza: «Grande misericordia chiede il grande peccatore. Grande medicina richiede la grande ferita».

L’episodio del pellegrinaggio di Emmaus è di grande importanza, quasi un riassunto dell’intero vangelo. Due testimonianze letterarie ci aiutano a comprende il valore.

«A chi di noi l’albergo d’Emmaus non è familiare? Chi non ha camminato su quella strada, una sera che tutto pareva perduto? Il Cristo era morto in noi. Ce l’avevano preso: il mondo, i filosofi e gli scienziati, nostra passione. Non esisteva più nessun Gesù per noi sulla terra». Abbiamo forse anche noi vissuto l’amarezza della delusione e ci sono stati momenti in cui anche Gesù, e la speranza da lui destata, sembravano sepolti dietro una grossa pietra troppo pesante da rotolare via. Amici, la via verso Emmaus la conosciamo, come tanti nostri amici conoscono la tristezza del cammino verso casa.

In ogni caso, scrive un altro autore, «in ogni uomo istruito, forse ancor più nel tempo nostro, esistono sempre due esseri che segretamente discutono su Gesù. / Due persone discorrono lungo una strada. Si intrattengono su ciò che è sempre stato visibile in questo mondo: il fallimento dei fondatori, le apparenze contrarie, la delusione, le promesse non mantenute. E in particolare l’assurdità del movimento di Gesù che non è riuscito e che dimostra che non c’è più posto per la speranza. Le ragioni plausibili per dubitare non mancano, si raddoppiano, anzi, perché ogni discepolo aggiunge le proprie difficoltà di credere a quelle dell’altro». Sentiamo anche in noi quei due discepoli discutere di Gesù, mettendone in dubbio l’esistenza o la forza redentrice? Questa è la condizione di tanti nostri contemporanei ai quali siamo chiamati a dar testimonianza della nostra speranza (cf. 1Pt 3,15).

Alcune note segnano la strada per una rinnovata e fresca certezza di gioia e chiarezza di sguardo.

L’incontro

«Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro» (Lc 24,15). Il punto centrale dell’episodio non è il mero annuncio verbale della risurrezione del Signore, che anzi i due avevano già ricevuto dalle donne (cf. Lc 24,22-23), bensì un “incontro” che conduce al riconoscimento di Gesù vivo in ciò che avviene, nel presente di un viaggio e di un dialogo. nella figura di un viandante che si avvicina e cammina con loro. I due discepoli seguono la strada e improvvisamente qualcuno si fa loro compagno di viaggio e non sono più soli. Colui di cui parlano cammina con loro, si pone al centro del loro interesse ed ha l’aspetto d’un compagno che interroga e insegna. E loro lasciano ch’egli penetri nei loro cuori. Rispondendo a Gesù, i due gli condividono il racconto dei fatti e l’amarezza cuore.

La questione vera non è quanto frequentiamo la Chiesa, l’adesione intellettuale alla sua dottrina o la conformità morale ai suoi precetti, ma quanto lasciamo che Colui che si avvicina e cammina con noi si ponga al centro dei nostri più vivi interessi, desideri, tristezze e speranze. Quante volte dialoghiamo con la stessa sincerità col Signore presente? Un poeta scrive: «L’amore che non cerca in tutti i modi lo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti e che afferra solo ciò che è vano» (Kahlil Gibran, L’amicizia). La nostra sequela di Cristo, talvolta, assomiglia a questa rete che afferra ciò che è vano se non si riempie della vita vera, delle speranze autentiche. Occorre essere sinceri con il Signore che sempre si avvicina, cammina con noi, ci interroga e spiega. Apriamogli con fiducia il nostro cuore .

Riconosciamo la sincerità dell’incontro nel fatto che i due di Emmaus si spalancano a una interpretazione nuova dei fatti che credevano di aver compreso. Gesù cambia il significato dell’esperienza vissuta, che viene riletta alla luce della Parola di Dio spiegata da Colui che ne è il compimento incarnato e risorto: «“Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,26-27). I due viandanti lasciano che Gesù rilegga gli eventi: «Per “aprire gli occhi” su cose già viste e comprendere eventi già noti è necessario ri-guardarli con occhi diversi». Gesù ci aiuta ad assumere nuovi occhi per riguardare la realtà e riconoscerne una profondità prima non avvertita. In che modo il rapporto vivo con Gesù diventa sguardo sul passato e sul presente? Come avvertiamo in noi il maturare di occhi nuovi che allargano il sentimento della realtà?

Restare con Gesù

«Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» (Lc 24,29). Il cuore dei discepoli già brucia per l’iniziale confidenza con Gesù, che spiega le scritture e cammina con loro, e diventa l’umile domanda di una compagnia, di un restare vicini. Resta con noi. Vogliono che Gesù resti con loro perché loro vogliono restare con Gesù nella sera, quando inizia l’oscurità e le presenze diventano ombre. È il momento della cena, della condivisione, della speranza in un’amicizia nuova. Restiamo con Gesù e invitiamolo a tavola con noi, a consumare con noi il cibo che ci fa vivere. Facciamoci fare compagnia da questo Dio vicino. Egli si svela proprio in questo atto d’ospitalità amica.

«Al viso non l’avevan saputo conoscere e neanche alle parole, che pure somigliavan tanto alle parole di quando era vivo; non l’avevan conosciuto neanche al lume delle pupille, mentre parlava, né al suono della voce. Ma bastò che prendesse nelle mani quel pane, come un padre che lo partisce ai figlioli, la sera, dopo una giornata di fatica o di viaggio, e in quell’atto amoroso, che tante volte gli avevan visto fare nelle cene improvvisate e familiari, avevano scoperto, alla fine, le sue mani, le sue mani benedicenti e ferite, e la caligine si squarciò e si trovarono faccia a faccia con lo splendore del Risuscitato. / Quando, nella prima vita, fu amico non l’avevan compreso; quando, lungo la via, fu maestro non l’avevano ravvisato ma nel momento che adempì l’affettuosa mansione di colui che serve i suoi servi e porge il pezzo di pane che è vita e speranza di vita, allora, per la prima volta, lo videro».

I due discepoli riconoscono il Risorto nell’atto dell’amicizia, dell’amore, della condivisione. Volevano che Gesù restasse con loro e adesso Egli si svela come colui che resta sempre nell’abbraccio della carità. Quando riconosciamo Gesù?

Senza indugio

«Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (Lc 24,33-34). Fanno ritorno a Gerusalemme e inizia la grande avventura dell’annuncio cristiano che è sempre l’annuncio di una apparizione, il racconto di un avvenimento di vita: «Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24,35).

Senza indugio. «Non differire, non chiudere contro di te la porta ch’è aperta. Ecco, colui che ti concede il perdono ti apre la porta; perché indugi ad entrare?». Perché rinviamo a domani la corsa che può realizzare la nostra vita, che dà senso all’esistenza degli uomini?

Giovani amici, non indugiate di fronte alla chiamata del Signore a seguirlo, a conoscere la sua parola di vita, ad annunciarlo al mondo contribuendo al suo cambiamento. Non sentite che così la vita diventa grande? Esitiamo per un sospetto, per paura di una delusione, per timore di abbandonarci a un Altro?

Non indugiamo. La vita merita il rischio di una sequela di ciò che è più grande, più bello e necessario.

 

 

 

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