Mercoledì delle Ceneri
Cattedrale di Cagliari, 5 marzo 2025
Il tempo di Quaresima che oggi si apre è attraversato dalla grazia dell’Anno Santo, un tempo di rinnovamento nell’«incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “porta” di salvezza»[1], un incontro che avviene nella preghiera, nel pellegrinaggio, nell’impegno nella carità e nella gioia del perdono dato e accolto.
La speranza, della quale siamo pellegrini, si esprime e si educa nella preghiera, che Gesù ci insegna a vivere con autenticità, purificata da ogni possibile ipocrisia.
«Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,5-6).
La tradizione spiega che questa camera da chiudere per ben pregare è il cuore, il punto più intimo e segreto della persona, lì dove sgorgano le speranze, la memoria e pensieri. La preghiera è il grido, pieno di fiducia e desiderio, che si esprime verso Dio «non con lo strepito delle labbra ma con l’affetto del cuore»[2]. Imparare a pregare è imparare a sperare, e quindi a vivere. Scendiamo nella profondità del cuore: «Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontani da voi? Andando lontano vi perderete. Perché vi mettete su strade deserte? Rientrate dal vostro vagabondaggio che vi ha portato fuori strada […]. Rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso, a forza di vagabondare fuori: non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha creato! Torna, torna al cuore»[3]. Lontani dal cuore diventiamo estranei a noi stessi, a Dio e ai fratelli. Non conosciamo noi stessi poiché Dio ha impresso nel cuore la sua propria immagine e l’orma del suo passaggio. Riprendiamo confidenza col nostro cuore, con le poche e semplici dimensioni che esprimono la nostra persona nella sua profondità di certezze e desideri, di memorie e affetti. La preghiera educa il desiderio insegnandoci a non fermarci a ciò che è immediato, ma a tendere all’infinito di Dio come nostra vita, felicità e verità.
Affidandoci soprattutto al linguaggio della Sacra Scrittura impariamo cosa chiedere, si trasformano gli aneliti del cuore ed effettivamente si modella la nostra coscienza secondo il desiderio di Dio: «Chiedi, cerca, bussa: chiedendo e cercando, diventerai sempre più capace di ricevere. Dio ti tiene in serbo ciò che non vuol darti presto affinché anche tu impari a desiderare grandemente le cose grandi»[4]. Nella speranza impariamo a desiderare cose grandi, le più grandi; speriamo la vita eterna.
Facciamo nostre, oggi, le domande a Dio del salmo responsoriale (dal Sl 50): Pietà di me; cancella la mia iniquità; lavami dalla mia colpa; crea in me un cuore puro; non scacciarmi dalla tua presenza; rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso; apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode.
Contro la schiavitù delle cose vane e mortali, la preghiera ci introduce nello spazio delle cose grandi, eterne e in tal modo ci aiuta a scoprire la bellezza della vita nella sua concretezza, a gustarne ogni circostanza. Ogni situazione, infatti, è vissuta nella preghiera davanti al Dio di Gesù Cristo, che conosce e ascolta la gioia per quanto riceviamo e la domanda per quanto ancora speriamo.
Attraverso la preghiera, impariamo anche a comprendere il cuore degli altri, a riconoscere in ogni uomo quella nostalgia di infinito, quell’anelito di perdono e gioia che abita ogni persona. La preghiera non ci isola, ma ci rende più solidali, più capaci di ascoltare e condividere le attese e le sofferenze altrui. Ogni uomo che incontriamo diventa parte di un cammino comune che la preghiera ci aiuta a riconoscere e a percorrere. Nell’intreccio tra preghiera personale e preghiera comunitaria «diventiamo capaci di Dio e siamo resi idonei al servizio degli uomini. Così diventiamo capaci della grande speranza e così diventiamo ministri della speranza per gli altri: la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri»[5]. La preghiera è già un gesto di comunione e di carità, e genera comunione e carità.
La dimensione più profonda della preghiera è stare alla presenza di Dio, davanti al Padre che vede nel segreto (cf. Mt 6,6), che ci avvolge con la sua misericordia. La coscienza religiosa nasce proprio dalla certezza di questa presenza. Dio non è un’idea astratta, né un concetto distante, ma una realtà viva che guida, accoglie e salva. Chi prega con verità si sente immerso in questo sguardo d’amore, portando a Dio la propria esistenza perché Egli possa amarla e plasmarla secondo il suo disegno di bene. Uno scrittore contemporaneo diceva che la preghiera costituisce per lui un inciampo, una pietra contro cui ogni giorno il suo piede urta e che non riesce a scavalcare, poiché essa è «dare il “tu” a Dio, con le variazioni che stanno tra l’imprecazione e la supplica, è l’arbitrio meraviglioso della creatura che risale alla sua origine e l’interroga, la chiama, la scuote dalla sua distanza. Chi ha esclamato per la prima volta la prima preghiera non può averla inventata. Può solo aver reagito a una chiamata, come Abramo con suo “hinnèni”, eccomi. Eccomi è la prima parola, la premessa di ogni preghiera»[6]. La preghiera, in realtà, annulla la distanza da Dio poiché essa ci convoca alla sua presenza così che al nostro «eccomi» Dio replica col suo «eccomi» (Is 58,9). Nella preghiera possiamo gridare a Dio chiamandolo «Abbà! Padre!» (Rm 8,15), perché il Dio di Gesù Cristo è Padre.
La Preghiera del Signore, in particolare, prepara il nostro cuore a pregare con sincerità, per ottenere ciò che spera. Le parole del Padre nostro dicono: «Non hai a che fare soltanto con un “divino”, non solo con qualcosa che misteriosamente alita, con un essere. Non v’è là solo “qualcosa” che tu puoi sentire, ma “qualcuno”, cui puoi rivolgere la parola. Non solo avverti d’esser toccato da qualcosa che domina, ma percepisci un volto, a guardare il quale sei chiamato. Non solamente un significato, che tu cogli, ma un cuore a cui t’è dato di rivolgerti… Questo “divino” è Dio, il Signore; ed Egli è tale che puoi dirgli “Tu”»[7]. Possiamo sopportare la presenza di Dio per la certezza che Egli sia Padre. La conversione è saper stare davanti al suo volto.
La preghiera, quindi, non è un inciampo, ma la soglia che ci consente di entrare nella familiarità con Dio, gli altri e noi stessi. Nella preghiera la speranza si nutre dell’amore certo del Padre. Alziamo lo sguardo, fissiamone i suoi occhi e tendiamo al suo cuore. In questo si realizza la conversione cristiana.
[1] Francesco, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, 9 maggio 2024, n. 1.
[2] Agostino d’Ippona, Esposizioni sui Salmi 141,2.
[3] Agostino d’Ippona, Commento al Vangelo di Giovanni 18,10.
[4] Agostino d’Ippona, Discorsi 61,5,6.
[5] Benedetto XVI, Lett. enc. Spe salvi, 30 novembre 2007, n. 34.
[6] H. De Luca, Nocciolo d’oliva, Padova 2002, 5.
[7] R. Guardini, La preghiera del Signore. Il Padre nostro, 16-17.