Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per l’ordinazione episcopale di monsignor Mario Farci

L’ordinazione episcopale di S.E.R. Mons. Mario Farci, eletto alla sede di Iglesias

Domenica 9 febbraio 2025

Basilica di Sant’Elena a Quartu Sant’Elena

Eminenza ed Eccellenze Reverendissime

Cari fratelli nel presbiterato, diaconi, seminaristi, uomini e donne di Vita Consacrata

Gentili autorità civili e militari

Carissimi tutti in Cristo

1. la folla che oggi occupa gli spazi di questa Basilica assomiglia molto a quella che faceva ressa attorno a Gesù. Gli uomini e le donne di oggi sono come quelli di ieri, vogliono ascoltare la parola di Dio (cf. Lc 5,1), ne hanno tanto bisogno e per questo lasciano case e occupazioni solite per andare, come assetati, verso fonti di acqua buona, per imparare la verità e fare esperienza d’amore, per ascoltare parole di vita eterna. Il dramma è che tanti offrono, a quanti sono in cerca, solo parole umane, insufficienti a disvelare il mistero della vita.

Attorno a Gesù, oggi come ieri, ci raduniamo perché Egli è la Parola di Dio fatta carne, e tutta la sua esistenza – gesti, fatti, parole – svela la verità di Dio e dell’uomo. Per compassione di quella folla, per amore degli uomini, Gesù, volendo raggiungere tutti, anche gli ultimi della folla, quelli più distanti che non udivano, forse perché arrivati per ultimo, prima sale sulla barca di Pietro e poi lo chiama a divenire, con lui, per lui, in lui, pescatore di uomini. C’è una Parola da annunciare e uomini da raccogliere. Per amore delle folle, che ora ascoltano e poi forse dimenticano, che accorrono e a volte rifiutano, per compassione di ogni uomo, Gesù chiama Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni, gli altri apostoli e poi ciascuno di noi, me e te. Per compassione degli uomini, per parlare a tutti, per raggiungere quest’oggi Cagliari, Quartu e Iglesias, Gesù ci chiama a sé e ci invia al mondo, chiedendo di non lasciarci bloccare dalla delusione del passato («abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla»: Lc 5,5) – perché il passato può essere una ricchezza di cui far memoria con gratitudine, ma anche una trappola da cui fuggire – e di poggiare totalmente sulla sua promessa, sulla sua parola. La parola di Gesù, la parola che è al tempo stesso e inseparabilmente amore, normalmente raggiunge gli uomini per mezzo di altri uomini, testimoni stupiti del miracolo che irrompe in mezzo alla storia. Il Maestro si offre agli uomini nella testimonianza di persone affidate, consegnate alla sua promessa in una sequela senza condizioni e limiti.

Quando don Mario mi ha chiesto di essere consacrante principale in questa celebrazione, ho pensato con una certa emozione che sono nella successione degli apostoli come anello di una ininterrotta catena di amore, di speranza e fede, di memoria e gratitudine. Questo, caro don Mario, è il senso, cioè l’effetto della nostra missione: dilatare nello spazio e nel tempo la compassione e la verità di Cristo per gli uomini, quasi spingendo in avanti la Chiesa fino ai confini della terra e alla consumazione dei tempi. È la ragione della nostra vita e della nostra speranza.

2. Che questa ordinazione avvenga mentre l’Anno Santo muove i suoi primi passi mi sembra assai significativo. Il tema del Giubileo, Pellegrini di speranza, provoca profondamente tutti, singoli fedeli e comunità, ma a titolo particolare i pastori della Chiesa e tra questi i Vescovi. San Giovanni Paolo II insegnava, nell’Esortazione apostolica Pastores gregis, scritta al termine della X Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata alla figura del Vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, che «compito […] d’ogni Vescovo è annunziare al mondo la speranza, a partire dalla predicazione del Vangelo di Gesù Cristo». Non basta predicare la speranza cristiana, il mondo chiede di vederne i segni di rinnovamento, anzitutto, nella vita di colui che l’annuncia. Per tale ragione, aggiungeva il Papa, al Vescovo «spetta il compito di essere profeta, testimone e servo della speranza» (n. 3). Il Vescovo annuncia la speranza divenendone profeta, testimone e servo. La speranza che sostiene la fede e nutre la carità è fondata sulla certezza della presenza del Signore: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). La speranza che non delude (cf. Rm 5,5), infatti, è quel desiderio e attesa di vita e di giorni felici che non possono essere guadagnati dagli sforzi umani ma solo dalla Croce, quel segno e strumento di morte che gli uomini avevano innalzato tra il cielo e la terra proprio per dichiarare la fine di ogni speranza suscitata da Gesù di Nazaret, che pure era passato «beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (At 10,38). Siamo annunciatori della vita che nell’amore del Crocifisso ha vinto la morte. È bello ripetere in questa Basilica dedicata a Sant’Elena: Ave Crux spes unica!

E poiché, risorgendo, come predicava San Bernardo, Cristo «non è ritornato, ma è transitato; ha trasmigrato, non è tornato indietro» (Primo sermone nella risurrezione del Signore, 14), l’esperienza dell’apparizione, del vederlo e sentirlo vivo, ci invita a prendere parte alla risurrezione passando anche noi a una vita nuova: «morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù» (Rm 6,11). Il transitare a questa novità sublime è segnato dall’attitudine a lanciare con fiducia lo sguardo verso il futuro. Tuo compito, carissimo don Mario, come profeta, testimone e servo della speranza, è sempre annunciare, testimoniare, servire la risurrezione del Signore e invitare tutti a compiere il passaggio alla vita nuova e bella che Egli ci dona.

La speranza è fondata su una certezza, non su un mito o un’utopia, sull’apparizione di segni di risurrezione, come mostra San Paolo (cf. 1Cor 15,1-11). Dobbiamo aiutare gli uomini a vedere la presenza del Signore, perché possano dire come Isaia: «I miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti» (Is 6,5). Mostriamo agli uomini segni di speranza, punti vivi della risurrezione, nella vita, nella fedeltà, nella carità più grandi di ogni brutta possibilità di male.

3. Siamo fragili e vulnerabili, è vero. Pietro stesso riconosce di essere un peccatore (cf. Lc 5,8), come Isaia un uomo dalle labbra impure (cf. Is 6,4) e Paolo l’ultimo degli apostoli, quasi un aborto (cf. 1Cor 15,8). La scelta del Signore rende evidente che, nella successione degli uomini che guidano la Chiesa, il Pastore che conduce e fa riposare è Cristo stesso e che l’esito del nostro lavoro non è mai il risultato delle nostre forze umane. Siamo gli ultimi, insufficienti, limitati e peccatori, ma amati, chiamati e inviati. Chiamati perché amati e non perché premiati per un qualche nostro merito. Ciò che fa stare in piedi non è certo la presunzione della nostra capacità ma la certezza della grazia di Cristo che non è mai vana in chi la accoglie con semplicità (cf. 1Cor 15,10). Il Signore chiama a sé vasi fragili (Cf. 2Cor 4,7) per custodire e trasmettere il proprio tesoro. La fragilità umana è, allora, se consegnata al Signore nella sequela umile, e nella docile disponibilità a lasciarsi correggere e convertire, un segno potente della verità delle promesse divine e della misericordia di Dio.

L’esperienza di questa misericordia rende bella e amabile la Chiesa. Ama la Chiesa, don Mario, come Cristo l’ama. Abbiamo sentito San Paolo parlare della sua fatica per la Chiesa (cf. 1Cor 15,10). Tu, vivi e lavora, giorno e notte, fino all’ultimo respiro, per renderla più bella e credibile; per questo prega e soffri, per questo non esitare a offrire tutto.

Poggia tutto sulla promessa del Signore. Non temere, don Mario, fratello Vescovo, prendi il largo e diventa pescatore di uomini.

 

Condividi
Skip to content