Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la Solennità dell’Epifania 2025

Solennità della Epifania del Signore
Cattedrale di Cagliari,

Lunedì 6 gennaio 2025

«Ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli» (Is 60,2). Parole di tragica attualità. Nelle tenebre, in tante parti del mondo, rimbomba il suono crudele delle armi, si patisce la sofferenza e la morte, il disprezzo della dignità di bambini e donne come della libertà di interi
popoli.

Dentro la nebbia fitta, non si riconosce più il volto del prossimo. Se ne sente la presenza come una minaccia o un ostacolo, ma non si riconosce il vero volto dell’uomo che porta in sé, indelebili, i segni dell’immagine e della somiglianza di Dio (cf. Gn 1,26). Il buio dell’assenza della verità e dell’amore penetra anche dentro di noi, e allora non riusciamo a riconoscere il nostro stesso volto e smarriamo la strada. La vita stessa, per tanti, perde senso, potendo sembrare una trappola senza uscita o un cammino senza meta. Vi è anche un’altra sofferenza di oscurità, quella della notte della fede. Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) annotava che «tutte le sofferenze che vengono dall’esterno sono un nulla a paragone della notte oscura dell’anima, allorché la luce divina non brilla più e la voce del Signore tace. Dio è presente, ma è nascosto e tace» (Il mistero del Natale).

I Sapienti che vengono dall’Oriente sfidano le tenebre dell’ignoranza e si mettono in cammino per un segno apparso proprio nella notte. «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo» (Mt 2,2). Non conoscono la meta e chiedono, vedono un segno luminoso e si mettono in cammino, non sanno davanti a chi e dove, ma hanno deciso di andare ad adorare il Re. Il loro cammino è sorretto dalla ricerca, dalla visione di un segno, dalla certezza di uno scopo. «Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». Non serve tanto discutere del buio, fare lunghe discussioni e convegni sui mali del mondo e dei giovani, occorre far vedere delle luci.

«Molti dicono: “Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?”» (Sal 4,7). Il punto decisivo non è mai la consistenza e le cause delle tenebre in cui abitano tanti nostri fratelli, ma la luminosità delle luci che possiamo loro offrire, che essi possono percepire incontrando noi, la Chiesa, dialogando e accompagnandosi a noi. Leone Magno esortava: «La prontezza di questa stella ci invita ad imitarla, perché, nella misura delle nostre possibilità, serviamo alla grazia che chiama tutti a Cristo» (In Epiphaniae solemnitate sermo 111). Imitiamo la stella. Ciò che più convince a mettersi in cammino è infatti la bellezza di un segno, la sua capacità di illuminare la realtà, un’attrattiva che colpisce il cuore, lo commuove e lo convince che c’è un senso, che c’è, deve esserci, Qualcuno da cercare e adorare. San Paolo ci esorta a stare in mezzo agli uomini, alla generazione anche dei malvagi e dei perversi (o di coloro che a noi sembrano tali), per «risplendere come astri nel mondo» (Fil 2,15). Cristo, luce delle genti, risplende nel mondo in uomini cambiati, uomini commossi, uomini che sanno leggere il cuore e indicare la via. Ecco le luci di cui ha bisogno questo mondo: uomini di Dio, amici degli uomini.

I santi sono questi “astri nel mondo” che rispondono in ogni ambiente e contesto, nel buio e nella nebbia fitta o nella notte oscura della fede. Sono essi le costellazioni di Dio, che illuminano le notti di questo mondo e ci guidano per la via. La nostra vita santa, non perché perfetta ma perché sempre in cammino, conquistata dall’amore di Cristo, sia una testimonianza di luce nel mondo, a partire dal pezzo di mondo che abitiamo: la famiglia, le chiese, il lavoro, le amicizie, i quartieri e il vicinato. È Cristo la luce, ma noi possiamo rendergli testimonianza vivendo, parlando, agendo non più per noi stessi ma per un Altro e per tutti gli altri che incrociamo. Facendoci riflesso della sua luce. La storia della Chiesa di Cagliari è illuminata dall’esempio di uomini e donne che altro non hanno fatto che accompagnare la vita delle persone incontrate, soprattutto i piccoli i poveri e bisognosi, aiutandoli a riconoscere, nella loro carità, la «luce vera, quella che illumina ogni uomo»
(Gv 1,9).

Aiutiamoci reciprocamente, perché possiamo abitare nel mondo ed esservi luce di fede pura, speranza certa e carità creativa. Aiutiamoci, cari fratelli, come insegnava San Agostino: «Correggete gli indisciplinati, confortate i pusillanimi, sostenete i deboli, confutate gli oppositori, tenete lontani i maligni, istruite gli ignoranti, stimolate i negligenti, frenate i litigiosi, moderate gli ambiziosi, incoraggiate gli sfiduciati, pacificate i contendenti, aiutate i bisognosi, liberate gli oppressi, mostrate approvazione ai buoni, tollerate i cattivi, amate tutti». Con queste parole, Sant’Agostino esortava i suoi fedeli nell’anniversario della sua ordinazione episcopale (Discorso 340,4), aggiungendo che operando in tal mondo, con una attività così impegnativa e così molteplice, si sostiene il Vescovo, perché sia motivo di gioia per lui non tanto il presiedere quanto l’essere utile ai fratelli e alla Chiesa intera. Perché questa è, e deve poter essere, la gioia del Vescovo e di tutti i cristiani: non il presiedere ma il giovare.

Faccio mie, nella ricorrenza della mia ordinazione, le parole conclusive di quel discorso: «Come conviene a noi di essere scrupolosamente solleciti a pregare la misericordia di Dio per la vostra salvezza, così è opportuno che anche voi siate intenti a pregare il Signore per noi. […] D’altra parte, se avremo pregato di continuo noi per voi e voi per noi, con perfetto slancio di carità, con l’aiuto dei Signore, raggiungeremo felicemente la beatitudine eterna. Che si degni concederla egli che vive e regna per i secoli dei secoli. Amen».

 

 

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