Solennità di Maria SS. Madre di Dio
Omelia per la Santa Messa di ringraziamento con il canto del Te Deum
Basilica Cattedrale di Cagliari, Martedì 31 dicembre 2024
Carissimi fratelli e amici in Cristo,
con commossa gratitudine custodiamo ancora negli occhi e nel cuore lo spettacolo di fede e amore del popolo devoto di Cagliari che è accorso numerosissimo per dare inizio all’Anno Santo 2025 per la nostra Diocesi. Abbiamo risposto con la nostra presenza orante, col nostro eccomi, ci sono, all’invito del Papa a farci Pellegrini di speranza.
Il Vangelo (Lc 2,16-21) racconta dell’adorazione dei pastori, dello stupore degli uomini attorno alla mangiatoria di Betlemme e di Maria che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Al termine, si fa riferimento al nome di Gesù, «come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo». In quel “prima” non c’era tutta la pienezza di rivelazione che adesso contempliamo e che speriamo. “Prima” era diverso e nessuno poteva immaginare quel che sarebbe accaduto “dopo” la visita dell’Angelo alla Vergine Maria, nella casa di Nazaret. Il passaggio da quel “prima” al “dopo” è opera gratuita di Dio che provoca l’adesione gratuita di Maria. Ciò che è davvero gratuito, come l’amore e il perdono, non può essere previsto e programmato da alcuna volontà e intelligenza umana o artificiale. Il futuro, visto da quel “prima”, è tutto affidato a Dio che convoca la fede di Maria che ha detto il suo Eccomi (Lc 1,38) e ha «creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Ha creduto nella speranza suscitata dalla promessa di Dio, contro ogni evidenza umana. Per sperare, occorre aver ricevuto una promessa, una grande promessa.
La speranza cristiana, però, si confronta continuamente con eventi e situazioni che la contraddicono, sia esterni a noi sia dentro di noi.
Dentro di noi. Quanto è duro talvolta in nostro cuore, quanta ostinata la nostra presunzione e amara la nostra tristezza, che diventa spesso ira verso gli altri e la Chiesa, maldicenza e pettegolezzo, calunnia e discredito, invidia e gelosia. Sono tutte forme in cui si manifesta la perdita della fiducia, una mancanza di speranza in Dio che vuole quasi vendicarsi colpendo chi ha il compito di rappresentarlo davanti agli uomini. Chi smarrisce la speranza cristiana è sempre pronto a farsi abbagliare dalle luci ingannevoli che incontra o di cui va in cerca.
Fuori di noi. Pensiamo alla tragedia crudele della guerra, della quale chiediamo senza stancarci che finisca, in Palestina e in Ucraina, in Africa e in tante parti del pianeta. Pensiamo alla povertà e allo scandalo della diseguaglianza tra popoli e dentro lo stesso popolo, anche in Italia. Non cessano le persecuzioni verso i cristiani. Non vogliamo dimenticare i missionari e gli operatori pastorali morti in modo violento, che nel 2024 sono stati non meno di 13, di cui 8 sacerdoti e 5 laici. Eppure, proprio quest’ultimo dato ci apre alla speranza. Le loro biografie parlano di una solida testimonianza di fede nell’ordinarietà di un servizio ecclesiale e della vita quotidiana, spesso in contesti segnati dalla violenza, dai conflitti, dalla miseria e dall’ingiustizia. Dentro tutto, a dispetto di ogni possibile logica umana, hanno offerto la propria vita a Cristo fino alla fine, gratuitamente.
Ha detto papa Francesco all’Angelus del 26 dicembre, festa di Santo Stefano, che «anche oggi ci sono, in varie parti del mondo, molti uomini e donne perseguitati, a volte fino alla morte, a causa del Vangelo. […] Non si lasciano uccidere per debolezza, né per difendere un’ideologia, ma per rendere tutti partecipi del dono di salvezza. E lo fanno in primo luogo per il bene dei loro uccisori: per i loro uccisori … e pregano per loro». Per il mondo sono solo vittime di una violenza, protagonisti di un fallimento, ma per noi sono luci di speranza, testimoni di un amore più grande dell’odio. Il Papa ha menzionato il Beato Christian de Chergé che, nel suo testamento, ringraziava anche per il suo uccisore, chiamato l’«amico dell’ultimo minuto».
Il cristiano crede e vede nel buio di ogni notte la luce di cui parla Giovanni, quella che viene nel mondo: «la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta» (Gv 1,5). Dentro ogni contesto, dobbiamo andare in cerca dei, e scrutare attentamente questi, segni di speranza, queste luci che non sono vinte dalle tenebre. Sono essi che testimoniano quella che San Paolo, parlando di Abramo, qualifica come «speranza contro ogni speranza» nella quale egli diviene «padre di molti popoli» (Rm 4,18). Non illudiamoci nell’efficacia di tante iniziative. La vera generazione del popolo cristiano, in famiglia come in chiesa, avviene in forza di una fede che rende saldi nella speranza contro ogni speranza!
Nel Te Deum canteremo: In te, Dómine, sperávi: non confúndar in ætérnum. È una grande professione di fiducia: «Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno». Sempre abbiamo da ringraziare Dio che cammina con noi, che fa germogliare anche il deserto, che accende qualche luce dentro le tenebre del mondo. La speranza cristiana non è un’utopia senza fondamento, ci spinge come le ali degli uccelli verso il futuro, ma è fondata sul segno attuale di Cristo presente. Essa è ben radicata nell’oggi. Come nel sacramento che stiamo celebrando, nell’attesa della beata speranza e nell’accoglienza del Signore che nella sua carità si fa nostro cibo. La memoria del passato, l’accoglienza del presente, l’attesa del futuro. Il totalmente altro è creduto in forza nel totalmente presente. La dinamica della speranza cristiana ci pro-voca profondamente: reclama una decisione, chiama a vivere le cose presenti in vista di quelle che speriamo, a vivere intensamente il presente in ragione delle promesse di Dio.
«Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno». TU sei la nostra speranza. Un tu non una cosa. Il Dio presente ci invita a sperare nel Dio che viene!
Torniamo infine a P. Christian de Chergé, martire d’Algeria. L’8 marzo 1996 aveva predicato circa la Chiesa, che è il proseguimento dell’incarnazione. Era questa la ragione per cui i frati erano rimasti in Algeria dentro una situazione gravemente pericolosa per la loro incolumità: dovevano essere proseguimento dell’incarnazione del Verbo. In quella meditazione diceva: «Non appena pensiamo il futuro, lo pensiamo come il passato. Non abbiamo l’immaginazione di Dio. Domani sarà un’altra cosa e noi non possiamo immaginarla. Questa si chiama “la povertà”. […] Il futuro appartiene a Dio che, in ogni modo, vuole colmarci. La nostra grande grazia, come Chiesa in Algeria, è che in questo abbandono noi siamo assimilati ai giovani di questo paese, di questo continente, che non vedono qual è il loro futuro. E vorremmo, noi, avere altre certezze? Dobbiamo essere testimoni dell’Emmanuele, cioè del “Dio-con”. C’è una presenza del “Dio tra gli uomini” che proprio noi dobbiamo assumere […]. “Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici”». Non abbiamo l’immaginazione di Dio, così la delusione ci sorprende perché pensiamo al futuro come proiezione del passato. La vera povertà è affidare a Dio il nostro futuro.
Questa meditazione è dell’8 marzo 1996. Nella notte tra il 26 e il 27 marzo, Padre Christian e altri sei fratelli trappisti furono rapiti e uccisi il 21 maggio seguente. «Domani sarà un’altra cosa e noi non possiamo immaginarla». Una cosa nuova, come per Maria, a Nazaret; nuova come a Betlemme, nella mangiatoria; nuova come a Gerusalemme, quel giorno dopo il sabato. Dio crea sempre un’altra cosa, una cosa nuova, che non possiamo immaginare.
Nel ringraziare il buon Dio per quest’anno che volge alla fine, consegniamogli, per le mani della Madre di Dio, il nostro futuro e l’anno che viene, lietamente, con fiducia di figli, saldi nella speranza. E ripetiamo con il salmista: «Io confido in te, Signore; dico: “Tu sei il mio Dio, i miei giorni sono nelle tue mani» (Sl 31,15-16). I nostri giorni sono nelle sue mani!