Omelia per la Messa di apertura diocesana dell’Anno Giubilare
Cattedrale di Cagliari – Domenica 29 dicembre 2024
Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Con questo pellegrinaggio, cari fratelli (qui accorsi così numerosi, tanto da commuovere noi e Dio stesso), si apre per la nostra Chiesa di Cagliari l’Anno Giubilare, anno di grazia, di conversione, di misericordia, anno di consolazione. Abbiamo camminato, rispondendo all’invito del Papa a farci Pellegrini di Speranza. Abbiamo camminato verso la Cattedrale, incontro al Signore, dietro alla croce realizzata dai detenuti del Carcere di Cagliari-Uta, con un legno donato da un agente di Polizia Penitenziaria (d’altra parte nella croce è abbattuto ogni muro di separazione e inimicizia), in mezzo alla città. In tal modo, desideriamo essere, in quanto popolo pellegrinante nella storia (cf. 1Pt 2,11), un segno per tutti della speranza che anima il nostro cammino. Noi camminiamo nella speranza incontro al Signore innalzando i nostri affetti e affidandogli i nostri desideri.
Mettiamoci di nuovo in cammino, percorrendo le strade delle città e i sentieri dei cuori, nella speranza del bene grande che ci è promesso in Cristo Gesù e che ancora abbiamo sentito nella Seconda Lettura: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). La speranza attende e desidera quel che non è stato ancora manifestato ed è una cosa grande, infinita: diventare simili a Dio vedendolo così come egli è. Noi speriamo Dio come nostra felicità. È una speranza certa, fondata non su un vago ottimismo o su un’utopia ma sull’esperienza di un amore che riempie la vita di gioia e che non delude: «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1Gv 3,1). Speriamo la pienezza di beatitudine che ancora non è manifestata in forza di quell’amore che già possiamo vedere e sperimentare. Per tale ragione la croce è l’unica speranza, poiché solo l’amore più grande può legittimare la più grande speranza.
Siamo sulla soglia di un tempo nuovo, varchiamola per entrare nella nostra vera casa e nella nostra amata famiglia. Oppure attraversiamola per uscire dalle costrizioni che ci tengono schiavi, usciamo per respirare la libertà dei figli di Dio (cf. Rm 8,21). Il tempo dell’Anno Santo, le sue preghiere, i suoi riti, i suoi segni e pellegrinaggi sono un grande invito a rompere ogni esitazione e a rispondere allo sguardo d’amore e alla promessa del Signore: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai, e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”» (Mc 10,21). Liberati di ciò che ti appesantisce, dai ai poveri, vieni, seguimi e avrai un tesoro! Si può sperare nel tesoro che promette perché si risponde all’invito alla sequela di Gesù e si accoglie il suo sguardo d’amore. Perché indugiare? I cristiani sono messi in cammino dall’incontro col Signore, dal suo sguardo, e per la promessa sperata. Camminano perché amano la meta e i compagni di viaggio.
Se non camminiamo, saremo comunque trascinati dallo scorrere del tempo e dall’accadere dei fatti. Occorre scegliere, occorre determinarsi per farsi protagonisti del tempo e imprimere noi la direzione del cammino. Sant’Agostino ci dice la grazia che allora accade: «Su questo nostro cammino, a un bivio ci si è fatto incontro un uomo: ma non è un uomo, è Dio, che per gli uomini si è fatto uomo. […] Quell’uomo che si è fatto incontro a noi è il Verbo di Dio, il Verbo in persona che poi si è fatto uomo e ha abitato fra noi» (Discorso 346/A, nn. 1-2). La vita ci pone davanti continuamente tanti bivi, che spesso generano incertezze e paure. Quest’Anno Santo è in qualche modo un bivio: occorre scegliere! Mettiti in cammino e il Verbo fatto carne ti verrà incontro. Andiamo incontro a Colui che già cammina verso di noi.
Gesù Cristo sia la nostra guida (“Seguimi”), ci venga incontro, sia nostra compagnia, come abbiamo pregato poco fa: «Cristo, nostra pace e nostra speranza, sia nostro compagno di viaggio in questo anno di grazia e di consolazione» (Rito di Apertura dell’Anno Giubilare). Se lo seguiamo, ci viene sempre incontro in una compagnia affidabile e fedele. Come un giorno per i due discepoli di Emmaus (cf. Lc 24,13-35).
Pellegrini di Speranza! Questo Giubileo sia occasione per riprendere a sperare la pienezza e la beatitudine della vita che solo il Signore risorto può promettere. Ci esorta il papa Francesco: «Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “porta” di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale “nostra speranza” (1Tm 1,1). […] Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (Spes non confundit, 1).
Riprendiamo a sperare, non restiamo fermi, rinchiusi nelle nostre delusioni o dentro la nostra presunzione (due grandi tentazioni contro la speranza). Senza speranza non c’è movimento, non c’è gusto nell’azione, non c’è ragione adeguata al sacrificio e alla costruzione di una novità nella storia. La più grande novità è la nostra conversione: pensiamo cosa debba cambiare in noi per essere più degni delle promesse di Cristo?
La Chiesa di Cagliari è ricca di santità, di devozione e pietà di popolo, di opere di misericordia ed educative, è ricca di cultura. Per vivere questo tempo nuovo, però, marcato da tanti segni belli di generosità e ricerca ma anche dai tristi segni di violenza e di povertà materiale e spirituale, di incuria del creato e della vita, di continua scristianizzazione, serve rispondere con rinnovata gioia all’invito del Signore: «Venite a me» (Mt 11,28). Sia una fede nuova, una rinnovata carità e una grande speranza l’esito del nostro pellegrinare lungo quest’anno.
Il Vangelo di questa Festa della Sacra Famiglia ci aiuta a comprendere alcune caratteristiche del nostro cammino.
«Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo» (Lc 2,48). Smarrire Gesù provoca angoscia, in chi lo ha conosciuto e rifiutato. Cosa è la vita senza la speranza che Lui infonde? Cosa dire ai ricoverati negli Hospice o negli Ospedali o costretti nelle carceri, oppure a chi cerca la felicità in un nuovo amore, sposandosi o attendendo un figlio? La vita diventa un’angoscia senza Dio, senza la sua amicizia, senza l’orizzonte e la profondità di speranza che Egli dona. La guerra e la violazione della dignità dell’uomo in tutte le sue forme sono il segno della dimenticanza del Dio che ama la vita. Nel profondo dell’angoscia di questo momento, troppo buio per tanti popoli, noi cerchiamo Gesù, lo cerchiamo “dal profondo”, fatti voce di tutta l’umanità e del creato stesso. «Tutti ti cercano!» (Mc 1,37). «Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe» (Sl 23,6).
Cerchiamo Dio nella compagnia del Figlio, per offrire speranza a chi vive l’angoscia di una vita difficile, talvolta non degna. Cerchiamo Gesù per sostenere la speranza degli uomini del nostro tempo, promuovendo opere di pace, aiutando i giovani a trasmettere la vita, sostenendo i detenuti a vivere in condizioni di dignità e a recuperare fiducia nel proprio futuro, accompagnando i giovani, che hanno bisogno di adulti autorevoli, accogliendo e prendendoci cura dei migranti, degli anziani, degli ammalati, dei poveri. Guardando la Santa Famiglia scopriamo che l’amore vero è sentimento e volontà di servire, affetto e obbedienza a un compito, a un incarico che vogliamo anche noi accettare, quello di mostrare agli uomini il volto del Dio Amore, che libera dall’angoscia. «Amiamoci gli uni gli altri, come secondo il precetto che Cristo ci ha dato» (1Gv 1,23).
«Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore» (Lc 2,51). Maria custodisce nel cuore l’evento di Gesù, per esserne custodita, a Nazaret, quando la vita si svolgeva secondo la consuetudine di una donna madre e sposa, occupata a servire il figlio e lo sposo nelle vicende quotidiane fatte di lavoro, cura della casa, ascolto e preghiera. Custodiamo la memoria di Cristo e allora, dentro le occupazioni e gli ambienti della vita – lavoro, rapporto con gli altri, studio, impegno sociale e politico – potrà nascere qualcosa di nuovo, una nuova politica, una nuova cultura, un nuovo progetto di educazione e di riscatto dei poveri, una nuova economia e nuova organizzazione del lavoro. La speranza immagina sempre una nuova configurazione della realtà. La speranza che non delude, a contatto con gli aspetti della vita, li rinnova profondamente perché non è fuga dal mondo, ma ragione di impegno, fermento di novità nella storia. La speranza cristiana non può tollerare la separazione della fede con la vita perché essa, fondata sulla risurrezione di Cristo, è saldamente alleata a quella speranza umana di felicità e verità, giustizia e amore. La speranza cristiana è capace di dare valore e significato a tutti gli aspetti della nostra umanità, a renderla più bella e trasfigurata. San Bonaventura la paragona alle ali degli uccelli che per natura si dirigono verso il cielo e si allargano su entrambi i lati per portare in alto gli occhi, per guardare in modo completo la realtà; il cuore, per amare vivacemente; le mani, per lavorare con virtù; la voce, per parlare secondo verità; il volto, per mostrare il nostro comportamento (cf. Sermone 14, 1-2). L’intera nostra persona è attirata in alto dalla speranza e rinnovata nel suo rapporto con le cose, le persone, la società.
Il Vangelo narra di quei dottori nel Tempio: «Tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte» (Lc 2,47). Non smettiamo di ascoltare il Maestro che parla al nostro cuore e alla nostra ragione così che lo stupore per quanto udito possa riempire ogni giorno di quest’Anno di Grazia.
Un Anno davvero Santo per voi tutti, le vostre famiglie, le vostre comunità ecclesiali e gli ambienti di vita. Siate, siamo, dovunque pellegrini di speranza!