Il Giubileo della Speranza e della Carità:
Un cammino di rinnovamento
LETTERA PASTORALE
DELL’ARCIVESCOVO DI CAGLIARI GIUSEPPE BATURI
PER IL GIUBILEO ORDINARIO 2025
1. Pellegrini di speranza
È imminente l’apertura del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025. Per il popolo cristiano, la celebrazione dell’Anno Santo è sempre stato uno speciale dono di grazia, caratterizzato dal perdono dei peccati e, in particolare, dall’indulgenza, espressione piena della misericordia di Dio, dal pellegrinaggio e dalle opere di misericordia. Da quando Bonifacio VIII, nel 1300, istituì il primo Anno Santo, milioni e milioni di pellegrini si sono messi in cammino raggiungendo in pellegrinaggio i luoghi santi, attraversando la Porta Santa, venerando le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo custodite nelle Basiliche romane, donando e ricevendo atti di carità.
Per il Giubileo 2025 Papa Francesco ha scelto il motto Pellegrini di speranza. All’indomani della pandemia che aveva sconvolto il mondo a partire dalla fine del 2019, facendo sperimentare in modo unico il dramma della morte, della solitudine, della paura e della vulnerabilità dell’esistenza, annunciando il Giubileo, l’11 febbraio 2022, il Papa auspicava che potesse «favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza»[1]. D’altra parte, durante la pandemia, aveva avvertito continuamente che «da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori»[2]. Dalla crisi si esce insieme, per costruire un mondo diverso, con il «coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrici»[3].
Il desiderio di riacquistare la forza e la certezza di guardare al futuro con «animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante»[4], purtroppo si confrontava drammaticamente con lo scoppio della guerra in Ucraina e poi in Medio Oriente, con l’acuirsi del dramma della povertà per milioni di persone e del flusso di tanti profughi costretti ad abbandonare le loro terre. Dopo il 7 ottobre 2023, il Papa ha parlato in termini gravi di questo frangente della storia: «È un’ora buia. Questa è un’ora buia, Madre»[5].
In questo contesto di incertezza e sofferenza, la scelta del titolo della Bolla di indizione del Giubileo suona come un grande annuncio: Spes non confundit[6]. C’è una speranza più grande di ogni brutta possibilità della storia e di ogni minaccioso imprevisto, ed è la speranza fondata su Dio e il suo amore più forte della morte: «La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). Nella croce di Cristo siamo stati abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. La fede pasquale ravviva la speranza, è capace di dare un nuovo orientamento al nostro cammino, insieme alle energie e alla visione per l’edificazione di una nuova civiltà.
Il Giubileo è per tutti l’occasione perché possa accadere o rinnovarsi l’«incontro vivo e personale con il Signore Gesù, “porta” di salvezza (cfr. Gv 10,7.9)»[7], e in questo incontro ritrovare ragioni ed energie di gioia e vita, di giustizia e cambiamento. È Gesù Cristo la «nostra speranza» (1Tm 1,1). È Lui che la Chiesa ha la missione di annunciare e far incontrare sempre, ovunque e a tutti[8]. Se il cuore del Vangelo è la gioia dell’incontro con il Signore (Evangelii gaudium), la domanda che ci interpella riguarda la responsabilità personale e comunitaria perché la Chiesa viva in pienezza questo tempo del Giubileo come tempo di evangelizzazione: «Non ci sono priorità da anteporre all’annuncio della risurrezione, al kerigma della speranza»[9].
Venticinque anni dopo, nell’atto di entrare nel tempo del nuovo Giubileo, voglio ripetere le parole rivolte da San Giovanni Paolo II ai giovani convocati nell’indimenticabile XV Giornata Mondiale della Gioventù: «In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna»[10]. Non “qualcosa” speriamo, ma “Qualcuno”: Gesù Cristo, nostra vita.
La celebrazione del Giubileo Ordinario, con la sua cadenza regolare, segna il trascorrere del tempo, affinché si rinnovi la nostra adorazione a Cristo Gesù, Signore e giudice della storia[11]. «Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (Ap 1,8). La certezza di questa origine e di questo compimento, di questo potere d’amore che riscatta la creazione e la storia dal destino di morte, legittima e sostiene la speranza di vita eterna, di verità splendente, di felicità piena. Se il principio e la fine sono un amore infinito, tutto ha un senso, ogni cosa si protende verso una meta di vita e verità. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge, perché noi ricevessimo l’adozione a figli» (Gal 4,4-5). Il compimento della salvezza avviene nel tempo, come suo “riempimento”, ad opera del Figlio che realizza l’attesa degli uomini e le promesse di Dio. È questo momento che dà senso e trasfigura il tempo. Quando l’«Eternità si è fatta tempo, il Figlio si è fatto uomo, l’Idealità, il Logos che tutta la realtà abbraccia e compenetra, si è fatto carne», allora «il tempo e la vita umana ne sono stati trasformati: poiché Dio stesso ha preso umana carne»[12]. Il Giubileo ci ricorda l’intersezione tra l’eterno e il tempo e quindi ci invita a scoprirne il valore grande.
«Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé»[13]. Tutti sperano, perché inestirpabile è dal cuore di ogni persona il desiderio (che rivela una indigenza che ha bisogno di essere colmata da qualcosa che non abbiamo ancora) e l’attesa (che ritiene possibile nel futuro il compimento del desiderio) di un bene. È sempre una speranza che muove il cammino dell’uomo. Verso cosa?
Nel cammino della vita, l’uomo che cerca con sincerità la propria felicità si rende conto di aver bisogno sempre di “altre” speranze o, meglio, di una speranza “che vada oltre”. Solo “qualcosa di infinito” può bastargli[14]. Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo, offre alla nostra considerazione la stessa speranza infinita: «La felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti. Ma che cos’è la felicità? Quale felicità attendiamo e desideriamo? Non un’allegria passeggera, una soddisfazione effimera che, una volta raggiunta, chiede ancora e sempre di più, in una spirale di avidità in cui l’animo umano non è mai sazio, ma sempre più vuoto. Abbiamo bisogno di una felicità che si compia definitivamente in quello che ci realizza, ovvero nell’amore, così da poter dire, già ora: “Sono amato, dunque esisto; ed esisterò per sempre nell’Amore che non delude e dal quale niente e nessuno potrà mai separarmi”»[15]. Ecco, quel che speriamo è davvero una felicità che compia il destino per cui siamo fatti, che ci realizzi, e ciò può accadere solo nell’Amore più forte del nulla, dell’effimero, l’Amore che non delude mai.
Serve allora una pedagogia della speranza che sia anche pedagogia del desiderio, che insegni il gusto delle gioie autentiche della vita e a restare sempre in ricerca, a non accontentarsi mai di quanto raggiunto: «Proprio le gioie più vere sono capaci di liberare in noi quella sana inquietudine che porta ad essere più esigenti – volere un bene più alto, più profondo – e insieme a percepire con sempre maggiore chiarezza che nulla di finito può colmare il nostro cuore. Impareremo così a tendere, disarmati, verso quel bene che non possiamo costruire o procurarci con le nostre forze; a non lasciarci scoraggiare dalla fatica o dagli ostacoli che vengono dal nostro peccato»[16].
La speranza che può sostenere i passi dell’uomo nel dramma della storia non può essere fondata, per questo, su un mito, un sogno, un vago ottimismo, ma sopra una certezza e una verità. La speranza cristiana è fondata sull’avvenimento di Cristo risorto. È su questo «realismo evangelico» che la speranza cristiana, pur trascendendone la dimensione storica, spinge la città degli uomini a grandi conquiste di civiltà per il bene della persona e dei popoli. La speranza cristiana si fonda sul realismo della fede, sull’evento di Cristo incarnato, morto e risorto[17].
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che la speranza è la virtù teologale «per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo»[18]. E quindi: «La virtù della speranza risponde all’aspirazione alla felicità, che Dio ha posto nel cuore di ogni uomo; essa assume le attese che ispirano le attività degli uomini; le purifica per ordinarle al regno dei cieli; salvaguarda dallo scoraggiamento; sostiene in tutti i momenti di abbandono; dilata il cuore nell’attesa della beatitudine eterna. Lo slancio della speranza preserva dall’egoismo e conduce alla gioia della carità»[19]. Contro ogni tentazione di scoraggiamento e presunzione, la speranza rende lieta la vita e dilata il cuore nell’attesa e nella carità. Nella poesia di Charles Peguy, essa è una bambina “irriducibile”, che desta la meraviglia di Dio stesso, che si infila tra le sorelle fede e carità e le porta avanti, le muove con la sua energia trainante[20], come a dire che senza la speranza, senza il desiderio e l’attesa di un bene grande, restiamo paralizzati, bloccati nella nostra apparente sazietà.
Senza la speranza, l’animo umano resta preda dell’accidia e della delusione, provocando o lo scoraggiamento o una specie di ira verso se stessi, gli altri e la Chiesa stessa accusati di deludere le attese, un’ira che si manifesta col disamore o la malevolenza. Non si spera più e si accusa! L’altra conseguenza della mancanza di speranza è la presunzione di chi confida in se stesso, nelle proprie capacità o fortuna.
Il Giubileo ci chiama ad essere pellegrini, testimoni, ministri di speranza.
2. Il Giubileo dell’Anno 2025 a Cagliari
L’Anno Giubilare avrà inizio il 24 dicembre 2024, nella Solennità del Natale del Signore, con l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro da parte del Santo Padre in Vaticano. Nella domenica successiva, il 29 dicembre 2024, festa della Santa Famiglia, i Vescovi diocesani celebreranno la santa Eucaristia nelle chiese cattedrali come solenne apertura dell’Anno giubilare nelle Chiese particolari.
Per l’Arcidiocesi di Cagliari, il raduno avverrà presso il Santuario di Sant’Ignazio da Laconi, a Cagliari, dal quale, alle ore 16.30, partirà il pellegrinaggio verso la Cattedrale, dove alle ore 18.00 sarà celebrata la Santa Messa. La celebrazione si configura come una Messa stazionale, che manifesta l’unità della Chiesa locale e la diversità dei ministeri attorno al Vescovo e alla Sacra Eucaristia. Tutto il popolo santo di Dio è convocato per parteciparvi attivamente e pienamente e tutti i presbiteri, perciò, concelebrano con il Vescovo[21]. In questo modo, già l’apertura dell’Anno Giubilare costituirà un segno del cammino di speranza che accomuna la Chiesa, popolo pellegrinante dietro la croce di Cristo[22]. Il segno fisico della croce sarà, assai significativamente, preparata dai detenuti presso la Casa circondariale di Cagliari – Uta “E. Scalas”.
Durante il Giubileo, nei luoghi di pia visita e durante i pellegrinaggi stabiliti con apposito Decreto, sarà possibile fare esperienza della misericordia di Dio tramite l’indulgenza, che manifesta la pienezza del perdono di Dio.
Anche in questo Anno Santo i Missionari della Misericordia, istituititi in occasione del precedente Giubileo Straordinario, coadiuvati da altri presbiteri, sono chiamati a esercitare il loro ministero di speranza e perdono.
L’Anno Santo terminerà, come nelle altre diocesi del mondo, domenica 28 dicembre 2025.
3. La preghiera, linguaggio della speranza
Gli eventi giubilari sono soprattutto eventi di preghiera. La speranza, infatti, è espressa, alimentata ed educata dalla preghiera, che ne è come la lingua[23]. Significativamente, San Tommaso dice che la domanda della preghiera è interpretazione della speranza (petitio est interpretativa spei)[24].
Tale rapporto è delineato sinteticamente dal Catechismo della Chiesa Cattolica: «In Cristo risorto, la domanda della Chiesa è sostenuta dalla speranza, quantunque siamo ancora nell’attesa e dobbiamo convertirci ogni giorno»[25]. Nella fede di Cristo risorto, la domanda e la ricerca dell’uomo sono già un ritorno al Padre[26].
«Imparare a pregare è imparare a sperare ed è perciò imparare a vivere»[27]. Nella preghiera siamo aiutati a riconoscere la nostra vera necessità e ci disponiamo a desiderare da Dio con fiducia ciò che speriamo, riconoscendolo buono e provvidente[28]. Imparare a pregare significa imparare a desiderare e ad attendere con fiducia che Dio venga senza stancarsi e senza interruzione. I tempi delle preghiere aiutano «a concentrarci in ciò che desideriamo»[29].
Un esempio luminoso del rapporto tra la speranza e la preghiera è dato dall’orazione del Signore, il Padre nostro, le cui domande si fondano sul mistero della salvezza già realizzato, una volta per tutte, in Cristo crocifisso e risorto[30]. Dalla fede incrollabile nel Signore «sgorga la speranza che anima ognuna delle sette domande. Esse esprimono i gemiti del tempo presente, di questo tempo della pazienza e dell’attesa, in cui “ciò che noi saremo non è stato ancora rivelato” (1Gv 3,2)»[31]. Nella preghiera, infatti, ci facciamo voce dell’intera umanità che geme, anzi dell’intera creazione che attende nella speranza. Quando le ansie, i desideri, la memoria del bene, divengono invocazioni, allora si apre la strada dell’attesa che venga il Regno di Dio e che sia fatta la volontà del Padre, in cui è tutta la nostra speranza[32].
Ogni comunità potrebbe preparare, nella preghiera dei fedeli, le intenzioni che scaturiscano dalla propria esperienza vissuta durante l’Anno (eventi giubilari, pellegrinaggi, opere di misericordia ecc.).
In tutte le parrocchie, durante il Giubileo, specialmente nel tempo di Quaresima, vi siano idonee catechesi sulla preghiera, e in particolare sul Padre nostro, come scuola ed esercizio di speranza, adoperando anche i sussidi che saranno appositamente preparati dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Cagliari.
4. La Chiesa unita nella speranza
La Chiesa è convocata «per una speranza viva» (1Pt 1,3). La speranza cristiana ha sempre un carattere comunitario, mai privato. Nessuno vive da solo, ciascuno di noi intreccia la propria esistenza con quella degli altri, sia nel bene che nel male. Insegna Benedetto XVI che la «nostra speranza è sempre essenzialmente anche speranza per gli altri; solo così essa è veramente speranza anche per me. Da cristiani non dovremmo mai domandarci solamente: come posso salvare me stesso? Dovremmo domandarci anche: che cosa posso fare perché altri vengano salvati e sorga anche per altri la stella della speranza? Allora avrò fatto il massimo anche per la mia salvezza personale»[33]. Nutrire la speranza per noi significa anche farsi ministri della speranza per gli altri. Diceva San Tommaso che «se si presuppone l’unione dell’amore con un altro, uno può ben desiderare e sperare qualcosa per un altro come [lo spera] per sé»[34]. La dimensione del desiderio e della speranza è sempre connessa all’amore per il prossimo. Il discepolo spera per tutti e per il bene di tutti.
In senso più ampio, la speranza cristiana è l’azione di tutta la comunità credente che in questo modo si pone come segno per l’umanità intera: «Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,3-6). L’unità dei credenti è radicata nella chiamata di Dio a una sola speranza, che è Cristo. Proprio il riferimento alla speranza fa comprendere che l’iniziativa, che convoca la Chiesa nell’unità, è di Colui che chiama (Ef 4,4). Tale unità si nutre dei sentimenti dell’umiltà, della mansuetudine, e della magnanimità (Ef 4,2), e si realizza nella diversità dei ministeri e dei carismi. A ciascuno, infatti, «è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (Ef 4,7) e con l’unico «scopo di edificare il corpo di Cristo» (Ef 4,12). L’unità che nasce dall’unica speranza non mortifica i differenti doni concessi da Dio, anzi ne sollecita con magnanimità la corresponsabilità per l’edificazione della Chiesa e la missione comune.
Può dirsi che l’unità della speranza appartiene all’unità della Chiesa, ha lo stesso fondamento. Per tale ragione il Concilio Vaticano II descrive la Chiesa come la «comunità di fede, di speranza e di carità»[35]. La speranza può essere per i credenti solamente ecclesiale, sia perché è prima di tutto la Chiesa che spera e in essa ogni credente, sia perché è segno e causa di unità dei credenti tra di loro.
La speranza cristiana, concepita in modo comunitario, attende il compimento finale, nel quale saremo realmente una sola cosa, ma già opera nel presente per la nostra salvezza, permette, nello Spirito, lo slancio della Chiesa e dona la forza per compiere l’opera di testimonianza che ci è affidata[36].
Il cammino del Giubileo deve aiutarci a vigilare sulla nostra unità, che richiede sempre una conversione umile e sincera, personale e comunitaria e una costante tensione verso il rinnovamento che solo lo Spirito Santo può donare. È la preghiera di Gesù al Padre, nell’atto solenne della sua consegna: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17,20-23). Lacerare l’unità della Chiesa con la divisione è come render vana la croce di Cristo. Nella preghiera di Gesù al Padre c’è la ragione della nostra comunione e il fondamento della nostra speranza. Siamo chiamati a testimoniare la vocazione all’unità per essere nel mondo testimoni credibili e a valorizzare i semi che ci conducono a vivere la fedeltà a Cristo[37].
Tale tensione unitaria riguarda anche il rapporto con le Chiese e le comunità ecclesiali separate. La preghiera e il voto di Gesù fondano l’obbligo per tutti i cristiani e tutte le comunità cristiane, di tendere con ogni loro energia verso la piena unità, oggetto della nostra speranza[38]. Il tema del dialogo ecumenico costituirà un capitolo importante dell’anno giubilare anche a Cagliari.
La speranza cristiana assegna alla comunità una specifica responsabilità nei confronti del mondo, ossia quella di realizzare una presenza tanto vitale quanto quella che lo Spirito stesso compie nella Chiesa[39]. Non si tratta di un’azione di valore meramente culturale o sociale, «quanto piuttosto di un confronto dell’operare umano in ogni sua forma, con la speranza cristiana, o, per conservare il nostro vocabolario, con le esigenze della memoria e dell’attesa di Gesù Cristo»[40]. In tal modo, i cristiani potranno contribuire, all’interno e nell’esercizio delle proprie responsabilità familiari, lavorative e sociali, «a rendere visibile Cristo agli altri, principalmente con la testimonianza della loro stessa vita e col fulgore della loro fede, della loro speranza e carità»[41]. Nella trasmissione del Vangelo, occorre sempre ricordare, che la parola e la testimonianza della vita vanno di pari passo[42]. Paolo VI insegnava che «anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata — ciò che Pietro chiamava “dare le ragioni della propria speranza” (1Pt 3, 15) — ed esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù»[43].
Per queste ragioni, chiedo di portare ad attuazione quanto previsto dal Direttorio diocesano per i vicariati foranei, da me promulgato il 26 febbraio 2024 ed entrato in vigore lo scorso 1° settembre, con lo scopo di farne un ambiente di comunione per la missione. Il respiro di questa ampia comunione e lo slancio della missione sono le condizioni per un rinnovamento anche delle parrocchie, orientato a uno stile di unità e di collaborazione, di incontro degli uomini e di sollecitudine per l’annuncio del Vangelo.
I Vicariati devono per questo saper
(1) Esprimere la comunione, promuovendo la logica integrativa della comunione tra le parrocchie, delle parrocchie con la Chiesa particolare, delle parrocchie con le altre comunità ecclesiali presenti ed operanti nel territorio (comunità religiose, movimenti, associazioni, opere di carità ed educative, ecc);
(2) Esercitare il discernimento ecclesiale, riconoscendo e accogliendo i segni dei tempi in modo che l’annuncio di Gesù Cristo sia sempre intimamente connesso con gli interrogativi, le attese, l’anelito di salvezza presente nel cuore degli uomini;
(3) Promuovere la partecipazione ecclesiale. «Il soggetto dell’azione missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa è sempre il Popolo di Dio nel suo insieme»[44]. La missione della Chiesa richiede di promuovere la corresponsabilità di sempre nuovi soggetti capaci di esprimere una partecipazione creativa e matura all’unica missione della Chiesa, soprattutto negli ambiti della vita dell’uomo, come quelli dell’educazione, della carità, della salute, del lavoro;
(4) Intraprendere e animare iniziative di evangelizzazione. L’esigenza missionaria di raggiungere questi ambiti con forme adeguate di presenza e di azione richiede una pastorale organica e integrata tra sacerdoti, diaconi, religiosi e laici insieme alla cooperazione tra le parrocchie e le comunità ecclesiali di un medesimo territorio;
(5) Favorire la fraternità sacerdotale, che unisce i presbiteri in virtù della comune ordinazione e missione, e che si manifesta «nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, nelle riunioni e nella comunione di vita, di lavoro e di carità»[45];
(6) Promuovere la formazione permanente del clero, ospitando momenti di preghiera comune, di studio dei problemi e scambio di esperienze pastorali.
5. Segni di speranza, opere di misericordia
Il Santo Padre chiede che nel tempo del Giubileo sia prestata attenzione ai segni dei tempi[46], per imparare a riconoscere il tanto bene che è presente nel mondo e per «rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche»[47]. La comunità cristiana deve imparare a leggere con gli occhi della fede questo nostro tempo, per interpretare i fatti, gli eventi e gli incontri nella luce e nella forza del Vangelo vivo e personale che è Gesù Cristo, e con il dono dello Spirito Santo. «Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo?» (Lc 12,56). Il discernimento evangelico dei segni dei tempi non si esaurisce nel registrare con precisione la situazione storica ma avverte un “compito”, una sfida alla responsabilità sia della singola persona che della comunità, ascolta un “appello” che Dio fa risuonare nella stessa situazione storica[48].
Scrive Francesco che «i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza»[49].
È nostra responsabilità aiutare gli uomini a riconoscere segni di speranza pur dentro ogni possibile oscurità. È vero che sono tanti, e sembrano moltiplicarsi, i motivi che possono legittimare l’incertezza e lo sconforto nei riguardi dell’avvenire. La guerra, che non risparmia i civili e i bambini, la fame e la povertà di interi popoli, le ingiustizie e le diseguaglianze sempre più marcate, suscitano scetticismo e pessimismo verso il destino dell’uomo. Uno sguardo che si fermasse alla superfice della cronaca, però, rischierebbe di paralizzarci nell’impotenza o polarizzarci nell’estremismo degli orientamenti, ma comunque ci renderebbe incapaci di incidere sul presente e sul futuro. La fede in Gesù Cristo, invece, ci dona uno sguardo più acuto, «occhi capaci di “leggere dentro” gli avvenimenti della storia, per scoprire che, anche nelle angosce del nostro cuore e del nostro tempo, c’è un’incrollabile speranza che brilla»[50]. Poiché nel campo del cuore umano si sfidano angoscia e speranza, siamo chiamati ad offrire a tutti questo sguardo intelligente e profondo per scrutare i segni capaci di sostenere la nostra speranza. Dio è presente dentro ogni vicenda della storia.
Siamo inoltre invitati a star dentro questo tempo con l’impegno concreto della carità. Dio è amore (cfr. 1Gv 4,8) e si fa presente proprio quando e dove nient’altro viene fatto che amare, si fa vicino agli uomini nella nostra vicinanza. Il Papa indica la via di questo rinnovato impegno: «Le opere di misericordia sono anche opere di speranza, che risvegliano nei cuori sentimenti di gratitudine»[51].
Nello specchio della speranza possiamo imparare la verità dell’amore. La speranza e l’amore si appartengono intimamente, nella stessa maniera in cui anche la fede e la speranza non sono separabili l’una dall’altra. In verità, le tre virtù coesistono sempre e si tengono insieme. «Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, continuamente pregando per voi, avendo avuto notizie della vostra fede in Cristo Gesù e della carità che avete verso tutti i santi a causa della speranza che vi attende nei cieli» (Col 1,3-5). Anche se la speranza e l’amore sono atti mutuamente concomitanti, nel senso che si deve sperare ciò che si deve amare, può affermarsi che la speranza preceda la carità, in quanto prepara e dispone ad essa. La persona che vive la speranza come disposizione permanente è ben orientata a compiere gli atti propri della carità, che a sua volta è il termine finale e il completamento di tutti gli affetti.
Il trittico della fede, speranza e carità trova il suo vertice proprio nell’agape. «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (1 Cor 13,13). D’altra parte, spesso è proprio una presenza di misericordia che desta il desiderio di un nuovo futuro. Scrive il figlio di una persona ammalata: «Io non sono un credente. Sono un ateo convinto, di quelli tosti. Ma oggi, quando avete incontrato e per come avete incontrato mio padre, mi avete dato una insolita e nuova speranza che non saprei definire in altro modo e a cui non riesco a dare altro nome». Un atto di amore apre a una speranza nuova e imprevista!
«Siamo noi che la sua Grazia fa brillare, è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alle sofferenze dei poveri, per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte»[52]. Per la nostra carità, siamo noi segno tangibile di speranza per i fratelli che vivono nel bisogno e nel disagio.
Il Giubileo ci provoca a esprimere la misericordia nei confronti degli uomini del nostro tempo, promuovendo opere di pace, aiutando i giovani a trasmettere la vita, sostenendo i detenuti a vivere in condizioni di dignità e a recuperare fiducia nel proprio futuro, accompagnando i giovani, che hanno bisogno di adulti capaci averne sollecitudine, accogliendo e prendendoci cura dei migranti, degli anziani, degli ammalati e dei poveri[53].
Invito tutte le parrocchie, le comunità religiose, le confraternite, le associazioni e i movimenti a porre, secondo la creatività della carità, segni di prossimità a favore di questi nostri fratelli bisognosi. L’Arcidiocesi di Cagliari intende promuovere, in modo particolare, i seguenti segni giubilari di speranza e misericordia.
1) Adesione al progetto di Microcredito “Mi fido di Noi”.
Nel solco della tradizione giubilare della remissione dei debiti (cfr. Levitico 25, 8-28), la Conferenza Episcopale Italiana avvia, insieme alla Caritas Italiana, un progetto di Microcredito sociale a favore di persone e famiglie indebitate o in condizione di fragilità sociale che, avendo difficoltà ad accedere al credito ordinario, hanno bisogno di essere aiutate per ripartire e recuperare una piena dignità civile. Il titolo del progetto è Mi fido di Noi per significare che esso non si esaurisce nel singolo intervento economico a favore della persona ma coinvolge, impegna e anima le Chiese locali nella pluralità dei loro membri (comunità, parrocchie, Caritas, Fondazioni) uniti tra loro in una relazione di fiducia reciproca e generativa, capace di moltiplicare risorse e opportunità. L’elemento qualificante del progetto è proprio l’accompagnamento della persona e famiglia bisognose che deve coinvolgere le diverse comunità, in modo tale che l’intervento di microcredito possa rivelarsi un valido sostegno economico e una forma di educazione a vivere una compagnia concreta nelle situazioni di disagio. Il Fondo di Garanzia del progetto di Microcredito è istituito da una donazione della CEI e dall’apporto delle Diocesi aderenti.
Alla Caritas diocesana di Cagliari e alla Fondazione antiusura San Saturnino sono affidati i servizi ausiliari e l’organizzazione dei punti di contatto con le persone e le famiglie interessate, sempre in costante e organico collegamento con le parrocchie e le comunità.
2) Un’alternativa alla detenzione
La liberazione dei prigionieri appartiene all’antico richiamo del Giubileo (cfr. Lv 25,10; Is 61,1-2). All’inizio del suo ministero, Gesù stesso ha dichiarato compiuta in se stesso la promessa relativa alla «scarcerazione dei prigionieri» (Lc 4,18-19). Ripetendo l’antica tradizione, nella Bolla di indizione del Giubileo, il Papa chiede segni tangibili di speranza per i detenuti che, privi della libertà, sperimentano ogni giorno la durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, talvolta, la mancanza di rispetto. Ai Governi si propone di assumere iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi[54]. Per offrire un segno concreto di vicinanza, Francesco aprirà una Porta Santa in un carcere.
Non basta il richiamo ai Governi e alle pubbliche autorità. Il Pontefice ha invitato più volte i cristiani a farsi carico del futuro di questi fratelli: «Per un detenuto, scontare la pena può diventare occasione per fare esperienza del volto misericordioso di Dio, e così cominciare una vita nuova. E la comunità cristiana è provocata ad uscire dai pregiudizi, a mettersi in ricerca di coloro che provengono da anni di detenzione, per incontrarli, per ascoltare la loro testimonianza, e spezzare con loro il pane della Parola di Dio»[55].
La Chiesa di Cagliari attraverso la Caritas diocesana è da tempo impegnata a offrire interventi di tipo educativo e risocializzante ai detenuti che possono accedere alle misure alternative alla detenzione, le quali: rispettano i diritti e la dignità della persona, evitando tante situazioni difficili e di sofferenza che spesso si vivono all’interno degli istituti penitenziari; diminuiscono notevolmente la recidiva; permettono la riapertura graduale di relazioni familiari e territoriali positive; possono avere una funzione riparativa nei confronti della vittima del reato o della società.
In occasione del Giubileo 2025, la Caritas e l’Ufficio per la Pastorale Penitenziaria invitano le parrocchie a collaborare in questo progetto a favore dei detenuti che vengono sottoposti a una misura alternativa alla detenzione in regime di volontariato.
L’Arcidiocesi di Cagliari ha già attivato le procedure richieste per l’affidamento lavorativo di un detenuto.
3) Non dimenticare i poveri
«Speranza invoco in modo accorato per i miliardi di poveri, che spesso mancano del necessario per vivere. Di fronte al susseguirsi di sempre nuove ondate di impoverimento, c’è il rischio di abituarsi e rassegnarsi»[56]. Proseguendo la propria diaconia della carità, la Chiesa di Cagliari, tramite la Caritas diocesana, in collaborazione con enti pubblici e associazioni di carità, è impegnata a organizzare due opere giubilari:
– un “Centro di accoglienza per donne senza dimora”, per dare risposta a un fenomeno che sta assumendo, nella Città di Cagliari, i tratti della vera emergenza;
– un centro diocesano di assistenza “Emporio solidale”, al fine di mettere in campo un ulteriore strumento di contrasto alla povertà consentendo alle persone indigenti la possibilità di poter scegliere i prodotti da ricevere gratuitamente.
4) Alleanza per la trasmissione della vita
Nella Bolla di indizione, Francesco invita a guardare con speranza il futuro sostenendo il desiderio di trasmettere la vita che, invece, tanti fattori oggi, di natura culturale ed economica, sembrano scoraggiare. Il fenomeno allarmante della denatalità denuncia questa difficoltà. «È urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, non venga a mancare il sostegno convinto delle comunità credenti e dell’intera comunità civile in tutte le sue componenti, perché il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro ad ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza. La comunità cristiana perciò non può essere seconda a nessuno nel sostenere la necessità di un’alleanza sociale per la speranza, che sia inclusiva e non ideologica, e lavori per un avvenire segnato dal sorriso di tanti bambini e bambine che vengano a riempire le ormai troppe culle vuote in molte parti del mondo»[57].
Raccogliendo questo invito, La Chiesa di Cagliari intende sostenere i Progetti Mamma del Centro di aiuto alla Vita, che consistono nell’elargizione di sussidi mensili alle donne in gravidanza e in forte difficoltà economica. Il progetto può avere una durata fino a un anno e, a seconda dei casi, anche un anno e mezzo, potendo anche comprendere eventuali contributi per le spese di babysitteraggio. La scelta intende anche sottolineare i cinquant’anni di fondazione del primo Centro di aiuto alla Vita in Italia, avvenuta a Firenze il 22 maggio 1975.
Per sostenere questi e altri segni di speranza, è stato costituito il Fondo Segni di Speranza – Giubileo 2025 al quale tutti possono contribuire e nel quale verserò le offerte ricevute in occasione delle cresime amministrate durante questo Anno Santo.
Vorremmo non dimenticare nessuno. Siamo consapevoli che, specialmente oggi, l’evangelizzazione passi attraverso la testimonianza della carità e che la «speranza si comunica dimostrando una tenace e gioiosa capacità di farsi prossimo all’uomo come ad un fratello, specialmente quando è povero, piccolo, solo, emarginato»[58].
6. Il pellegrinaggio
Il segno antico del pellegrinaggio manifesta bene sia la grandezza del cristiano come homo viator sia la condizione della Chiesa che cammina come «pellegrina sulla terra»[59], attraversando la storia degli uomini e dei popoli, tra gioie e affanni, sempre protesa verso il Regno, la «città stabile» che non è di quaggiù (Eb 13,14). Si affronta il pellegrinaggio per invocare la conversione personale e comunitaria, per rendere grazie, supplicare misericordia. Si gioisce e si prega con i compagni di cammino.
Per il fatto stesso del passare del tempo, noi camminiamo; poiché cerchiamo la felicità noi camminiamo. La grazia è che mentre noi andiamo per la via ci venga incontro «un uomo: ma non è un uomo, è Dio, che per gli uomini si è fatto uomo»[60]. Pellegrinare, per noi, è andare incontro al Verbo di Dio che viene verso di noi.
Il segno del pellegrinaggio ci invita a farci compagni degli uomini. «Gli evangelizzatori sono come angeli, come angeli custodi, messaggeri di bene che non consegnano risposte pronte, ma condividono l’interrogativo della vita, lo stesso che Gesù rivolse a Maria chiamandola per nome: “Chi cerchi?” (Gv 20,15). Chi cerchi, non che cosa cerchi, perché le cose non bastano per vivere; per vivere occorre il Dio dell’amore. E se con questo suo amore sapessimo guardare nel cuore delle persone che, a causa dell’indifferenza che respiriamo e del consumismo che ci appiattisce, spesso ci passano davanti come se nulla fosse, riusciremmo a vedere anzitutto il bisogno di questo Chi, la ricerca di un amore che dura per sempre, la domanda sul senso della vita, sul dolore, sul tradimento, sulla solitudine. Sono inquietudini di fronte alle quali non bastano ricette e precetti; occorre camminare, occorre camminare insieme, farsi compagni di viaggio»[61]. Solo l’amore sa leggere nel cuore degli uomini la nostalgia di Dio e ci fa divenire compagni nell’unico cammino.
La Chiesa di Cagliari vivrà in modo peculiare l’esperienza del pellegrinaggio il 30 maggio 2025 presso il santuario di Santa Maria di Uta e a Roma dal 7 al 9 ottobre 2025.
7. Maria, Madre della speranza
Termino questa Lettera con le parole degli amici del gruppo sinodale della Casa circondariale di Cagliari – Uta “E. Scalas”: «Il Santo Padre invita tutti i cristiani a mettersi in cammino lungo le strade del mondo verso i luoghi sacri della nostra fede. Noi che siamo reclusi e vediamo il mondo dalle grate, possiamo aderire all’invito percorrendo i sentieri tortuosi del nostro cuore, in un’ascesa ideale che ci riconduce verso quelle sommità dalle quali eravamo discesi, sicuri di percorrere la strada giusta. Nel nostro pellegrinaggio interiore, ritroveremo forse quel bambino che un tempo siamo stati: semplice, sincero, gioioso e pieno di speranza. Accogliamo l’invito del Santo Padre, mettiamoci in cammino tutti insieme, armati di gentilezza, pazienza e umiltà». Mettiamoci tutti in cammino, percorrendo strade e visitando luoghi. I nostri amici del carcere ci invitano a saper tornare al cuore, a saper attraversare le esperienze umane per scoprire il nostro vero volto e le orme del divino Pellegrino. È l’amore che muove i nostri passi[62].
In questo nostro pellegrinare è la Vergine Maria che si prende cura di noi, con materna carità. Già glorificata nel corpo e nell’anima, Ella brilla «al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione»[63]. Da quando Dio l’ha guardata con amore, la Vergine è divenuta segno di speranza per la folla dei poveri, degli ultimi della terra che diventano i primi nel Regno di Dio (cfr. Lc 1,46-55).
Maria «avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla croce»[64]. Per la fedeltà di questa unione, Maria è divenuta «di speranza fontana vivace»[65]. A questa sorgente, che sgorga dal suo Cuore immacolato, vogliamo rivolgerci per affidarle fiduciosi i passi, gli incontri, i sentimenti di questo Anno Santo 2025; a lei ci rivolgiamo perché custodisca la nostra Chiesa di Cagliari, che guarda con fede, speranza e carità a Gesù Cristo; a lei consegniamo, in modo del tutto particolare, i presbiteri, ministri della speranza e del perdono, chiamati a guidare il santo popolo di Dio con la parola, i sacramenti, la cura pastorale e la testimonianza di un amore consumato «fino alla fine» (cfr. Gv 13,1).
Dalla Vergine Maria, fonte di speranza, andiamo ancora una volta ad attingere la fede e la gioia, l’amore e la pace che sono la nostra vera felicità.
La grazia, la misericordia e la pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro Signore.
Giuseppe BATURI
Arcivescovo Metropolita di Cagliari
8 dicembre 2024
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
NOTE
[1] Francesco, Lettera a S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, per il Giubileo 2025, 11 febbraio 2022.
[2] Francesco, Catechesi – “Guarire il mondo”: 3. L’opzione preferenziale per i poveri e la virtù della carità, 19 agosto 2020.
[3] Francesco, Un piano per risorgere, originale in spagnolo per la rivista spagnola Vida Nueva, nella traduzione italiana pubblicata da L’Osservatore Romano di venerdì 17 aprile 2020.
[4] Francesco, Lettera a S.E. Mons. Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, per il Giubileo 2025, 11 febbraio 2022.
[5] Francesco, A conclusione dell’ora di preghiera Pacem in terris, 27 ottobre 2023.
[6] Cfr. Francesco, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, 9 maggio 2024 (d’ora innanzi: Spes non confundit).
[7] Ibid., n. 1.
[8] Cfr. Ibid., n. 1.
[9] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro “La Chiesa in uscita”. Ricezione e prospettive di Evangelii gaudium, 30 novembre 2019.
[10] Giovanni Paolo II, Veglia di preghiera per il Giubileo dei Giovani, 19 agosto 2000, n. 5.
[11] Messale Romano, Prefazio di Avvento I/A.
[12] K. Rahner, L’ anno liturgico. Meditazioni, Brescia 1962, 15.
[13] Francesco, Spes non confundit, n. 21.
[14] Benedetto XVI, Enc. Spe salvi, 30 novembre 2007, n. 30: «L’uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell’uno o dell’altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l’uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere».
[15] Francesco, Spes non confundit, n. 1.
[16] Benedetto XVI, L’Anno della fede. Il desiderio di Dio, Udienza generale del 7 novembre 2012.
[17] Paolo VI, Messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua, 4 aprile 1971: «Ogni speranza si fonda sopra una certezza, sopra una verità, che nel dramma umano non può essere soltanto sperimentale e scientifica. Si fonda la vera speranza, che deve sorreggere l’intrepido cammino dell’uomo, sopra la fede. La quale appunto, nel linguaggio biblico, “è fondamento delle cose sperate” (Eb 11,1); e nella realtà storica è l’avvenimento, è Colui, che oggi noi celebriamo: Gesù risorto! Non è sogno, non è utopia, non è mito; è realismo evangelico. E su questo realismo noi credenti fondiamo la nostra concezione della vita, della storia, della civiltà stessa terrena, che la nostra speranza trascende, ma nello stesso tempo spinge alle sue ardite e fidenti conquiste».
[18] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1817.
[19] Ibid., n. 1818.
[20] Cfr. C. Peguy, Il portico del mistero della seconda virtù, in Id., I Misteri, Milano 1989, 161-165.
[21] Dicastero per l’Evangelizzazione, Premesse al Rito di apertura dell’Anno Giubilare nelle Chiese particolari, Città del Vaticano 2024, n. 3. Sull’importanza della Messa stazionale, cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, nn. 26-28; Caeremoniale Episcoporum, 119.
[22] Cfr. Francesco, Spes non confundit, n. 6; Dicastero per l’Evangelizzazione, Premesse al Rito di apertura dell’Anno Giubilare nelle Chiese particolari, Città del Vaticano 2024, n. 8.
[23] J. Ratzinger, Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità, Milano 1989, 54.
[24] Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 17, a. 2 e a. 4.
[25] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2630.
[26] Cfr. Ibid., n. 2629.
[27] J. Ratzinger, Guardare Cristo. Esercizi di fede, speranza e carità, Milano 1989, 55.
[28] Tommaso d’Aquino, Compendio di Teologia, II,1.
[29] Cfr. Agostino d’Ippona, Lettera 130 (a Proba), 8.17-9.18.
[30] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2771.
[31] Ibid., n. 2772.
[32] R. Fisichella, Introduzione a La preghiera oltre il tempo. Commenti al Padre nostro, a cura di R. Fisichella, Bologna 2024, 12: «La preghiera del Padre nostro infonde speranza. È questa attesa fiduciosa che muove le sette richiese contenute nella preghiera che Gesù ci ha insegnato. Queste sette attese mentre da una parte lasciano intravvedere la povertà della nostra condizione attuale, dall’altra rendono evidente la pienezza che verrà conferita a quanti mantengono salda la fede, operosa la carità fraterna e ardente la speranza».
[33] Benedetto XVI, Enc. Spe Salvi, 30 novembre 2007, n. 48.
[34] Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, II-II, q. 17, a. 3.
[35] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 8.
[36] Ibid., n. 48: «La nuova condizione promessa e sperata è già incominciata con Cristo; l’invio dello Spirito Santo le ha dato il suo slancio e per mezzo di lui essa continua nella Chiesa, nella quale siamo dalla fede istruiti anche sul senso della nostra vita temporale, mentre portiamo a termine, nella speranza dei beni futuri, l’opera a noi affidata nel mondo dal Padre e attuiamo così la nostra salvezza (cfr. Fil 2,12)».
[37] Ibid., n. 48: «La rinnovazione del mondo è irrevocabilmente acquisita e in certo modo reale è anticipata in questo mondo: difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di vera santità, anche se imperfetta. Tuttavia, fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora (cfr. 2Pt 3,13), la Chiesa peregrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo; essa vive tra le creature, le quali ancora gemono, sono nel travaglio del parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio (cfr. Rm 8,19-22)».
[38] Cfr. Commissione Teologica Internazionale, Temi scelti d’ecclesiologia in occasione del XX anniversario della Chiusura del Concilio Vaticano II, 1984, n. 9.3.
[39] Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 7.
[40] Cfr. Commissione Teologica Internazionale, Temi scelti d’ecclesiologia in occasione del XX anniversario della Chiusura del Concilio Vaticano II, 1984, n. 3.4.
[41] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 31.
[42] Cfr. Ibid., n. 35.
[43] Paolo VI, Es. Ap. Evangelii nuntiandi, n. 22.
[44] Congregazione per il Clero, Istruzione La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa, 20 luglio 2020, n. 27.
[45] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 28.
[46] Francesco, Spes non confundit, n. 7.
[47] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 4.
[48] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores Dabo Vobis, 25 marzo 1992, n. 10. Cfr. Francesco, Esort. Ap. Amoris laetitia, 19 marzo 2016, n. 31.
[49] Francesco, Spes non confundit, n. 7.
[50] Francesco, Omelia della Santa Messa nell’VIII Giornata Mondiale dei Poveri, 17 novembre 2024.
[51] Francesco, Spes non confundit, n. 7.
[52] Francesco, Omelia della Santa Messa nell’VIII Giornata Mondiale dei Poveri, 17 novembre 2024.
[53] Cfr. Francesco, Spes non confundit, nn. 8-15.
[54] Cfr. Ibid., n. 10.
[55] Francesco, Udienza ai partecipanti all’incontro nazionale dei referenti diocesani del cammino sinodale italiano, 25 marzo 2023.
[56] Francesco, Spes non confundit, n. 15.
[57] Ibid., n. 9.
[58] Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Servizio Missionario Giovanile, 23 dicembre 1994, n. 3.
[59] Messale Romano, Preghiera eucaristica III.
[60] Agostino d’Ippona, Discorso 346/A, nn. 1-2: «Noi, o fratelli, siamo cristiani e ci proponiamo tutti di percorrere un cammino, ma anche se non ce lo proponessimo, di fatto lo percorriamo perché lo scorrere del tempo sospinge tutti quelli che vengono in questa vita a procedere oltre, e non permette a nessuno di restare qui. Non è concesso di indugiare pigramente: si deve camminare se non si vuol essere trascinati via. Su questo nostro cammino, a un bivio ci si è fatto incontro un uomo: ma non è un uomo, è Dio, che per gli uomini si è fatto uomo. […] Se ripercorriamo il passato leggendo le sacre Scritture, troviamo che quell’uomo che si è fatto incontro a noi è il Verbo di Dio, il Verbo in persona che poi si è fatto uomo e ha abitato fra noi».
[61] Francesco, Discorso ai partecipanti all’incontro “La Chiesa in uscita”. Ricezione e prospettive di Evangelii gaudium, 30 novembre 2019.
[62] Agostino d’Ippona, Discorso 346/B, 2: «Quello che fa avanzare sulla via è l’amore di Dio e del prossimo. Chi ama corre, e la corsa è tanto più alacre quanto più è profondo l’amore. A un amore debole corrisponde un cammino lento, e se addirittura manca l’amore, ecco che uno si arresta sulla via».
[63] Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 68.
[64] Ibid., n. 58.
[65] Dante Alighieri, Divina Commedia. Paradiso, canto XXXIII, 12.