Omelie Ricorrenze Vescovo

Omelia del Vescovo per le ordinazioni sacerdotali del 30 novembre 2024

Santa Messa con le Ordinazioni presbiterali di don Andrea Pelgreffi, don Matteo Mocci e don Claudio Pireddu

Cagliari, Basilica di Bonaria, I Domenica di Avvento, 30 novembre 2024

Ger 33,14-16

1Ts 3,12-4,2

Lc 21,25-28.34-36

Eccellenza, fratello vescovo eletto Mario,

cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, seminaristi e formatori,

uomini e donne della vita consacrata, gentili autorità, fratelli tutti carissimi in Cristo,

poche ore fa questa Arcidiocesi di Cagliari ha accolto con gioia la notizia della nomina del Santo Padre di Mons. Mario Farci a Vescovo di Iglesias e ora, nella medesima gioia della fede, partecipa all’ordinazione presbiterale di don Andrea Pelgreffi, don Matteo Mocci e don Claudio Pireddu. La fede conosce anche momenti di fatica e di oscurità, ma sempre prorompe in gioia per il rinnovarsi dei segni della presenza del Signore morto e risorto, di Colui che è la roccia del nostro cuore (Sl 73,26), Signore e giudice della storia (Prefazio di Avvento I/A).

Don Mario Farci, in forza della consacrazione episcopale, in comunione e sotto l’autorità del sommo pontefice, è chiamato a esercitare il mandato e la potestà di ammaestrare il popolo di Dio come vero e autentico maestro della fede, di santificare gli uomini nella verità come pontefice e di esserne guida come pastore. «I vescovi – insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II – posti dallo Spirito Santo, succedono agli apostoli come pastori delle anime e, insieme col sommo Pontefice e sotto la sua autorità hanno la missione di perpetuare l’opera di Cristo, pastore eterno» (CD 2). Perpetuare l’opera di Cristo! Questo è il dono e la responsabilità di missione che spiega la nostra vita e gli dà senso; è la passione per la quale siamo chiamati a consumarci e, consumandoci, a illuminare il mondo. La luce che occorre accendere è quella che rende visibile il Dio-con-noi. Nella successione degli uomini chiamati a servire la Chiesa, è Cristo stesso ad apparire come il vero e unico maestro, il sacerdote eterno, il pastore grande del suo popolo. Noi gli offriamo i pochi pani e pesci della nostra umanità conquistata dal suo amore, ma è Lui che insegna, santifica, guida la Chiesa.

La nostra vita, caro fratello vescovo e cari figli, deve consumarsi come una candela per illuminare la presenza di Cristo. A ogni passo della nostra vicenda, e soprattutto in quelli più importanti, si rinnova la nostra adorazione a Cristo Gesù, alla testimonianza del quale prestiamo la nostra fede: «Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (Ap 1,8). È questa origine, è questo compimento che riscatta il cosmo e la storia dal destino della morte e consente a noi di sperare la vita eterna, la felicità piena. Se il principio e la fine sono un amore infinito, tutto ha un senso perché si protende verso uno scopo di bene.

Perpetuare l’opera di Cristo! È la missione anche dei presbiteri, secondo il medesimo Concilio: «Cristo, per continuare a realizzare incessantemente questa stessa volontà del Padre nel mondo per mezzo della Chiesa, opera attraverso i suoi ministri» (PO 14). Attraverso le parole e i gesti e la nostra stessa esistenza di ministri, pur dentro il dolore dei nostri limiti e condizionamenti umani, Cristo continua a operare, e non si stanca di incontrare gli uomini per perdonarli, per correggerli, per insegnare, per amarli e guidarli alla vita e alla verità. Cristo allora, cari giovani, è il principio di unità di ogni nostra azione e pensiero. Che mistero!

Benedetto XVI, in occasione della conclusione dell’anno sacerdotale 2009/2010 affermava: «Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola “sacerdozio”». Carissimi fratelli e figli, questa audacia merita la devozione del nostro stupore e anche del nostro timore (di Dio), mai (sarebbe un gravissimo peccato) la violenza di una nostra pretesa o la presunzione di un potere. Dio si serve di noi per farsi vicino al cuore degli uomini. L’audacia di Dio va accolta dallo stupore e sano timore degli uomini.

Siamo chiamati a servire questa presenza alimentando la speranza degli uomini in un momento e dentro una mentalità che sembrano diffondere scetticismo e delusione. E su cosa può fondarsi la speranza della felicità se non sulla promessa di un Dio fedele? Abbiamo sentito nella prima lettura la solenne professione di tale fedeltà: «Ecco, verranno giorni – oràcolo del Signore – nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda» (Ger 33,14). Dio è fedele alle sue promesse, per questo possiamo desiderare e attendere il bene infinito che solo Lui può donarci. Serviamo questa speranza nella certezza che così serviamo il cammino degli uomini, l’attesa della liberazione. «Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). A noi tocca mostrare la fedeltà di Dio e il suo continuo misericordioso venire incontro a noi.

«Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). Gesù è stato inviato «a portare ai poveri il lieto annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / a rimettere in libertà gli oppressi, / a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Gesù Cristo è stato mandato dal Padre per questa missione di liberazione, per donarci la libertà dal peccato, dalla paura e dalla schiavitù delle cose vane ed effimere, quelle che lasciano vuoti dopo averci sedotti, dal sentimento della disperazione e dalla presunzione. È venuto a liberarci dal nulla della morte e delle cose che finiscono, per conquistarci a una felicità senza fine. La promessa di Dio corrisponde all’attesa di liberazione che coinvolge l’uomo di tutti i tempi e la stessa creazione. Nella grandiosa visione di San Paolo, la creazione – sottoposta alla caducità – è sospinta e attraversata da una «ardente aspettativa», dalla speranza di essere «liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,19-21). Questa ardente aspettativa di liberazione occorre sentire dentro di sé per poter annunciare la presenza del Liberatore.

Noi collaboriamo a questa liberazione, sostenendo la speranza degli uomini, rendendo vicino il Signore che viene.

Come l’apostolo Andrea incontrando il fratello Pietro lo condusse dal messia che aveva trovato (Gv 1,40-42), così noi vogliamo portare gli uomini al Signore di cui non smettiamo di imparare la grandezza e contemplare la bellezza. Non possiamo smettere di guardare Cristo se non vogliamo ingannare gli uomini che si affidano a noi.

Guardate Nostra Signora di Bonaria che presenta agli uomini Cristo, luce delle genti. Non abbiamo altro da dare, e non c’è altro che gli uomini ci chiedono. A Lei vi affido, cari Andrea, Matteo e Claudio, caro vescovo Mario, perché abbiate la gioia di portare sempre Cristo, la luce che illumina gli uomini.

 

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