San Saturnino 2024
Messaggio alla Città
Primi Vespri, Basilica di San Saturnino, 29 ottobre 2024
Cari confratelli nel sacerdozio,
Gentili autorità civili e militari,
Fratelli e sorelle tutti in Cristo,
1. l’annuale celebrazione di San Saturnino, del giovane martire patrono della nostra città, induce a pensare con serietà alla sorte di questi fratelli che hanno lottato per la loro fede e per essa hanno donato la vita. La morte terrena non è un danno più grave dell’abbandono della comunione con Dio. Il cristiano è sempre controcorrente, decidendo di seguire il Signore nella parte del mondo che si è scelto, quello dei miti e dei bisognosi, dei pellegrini di verità non dei venditori di opinioni; è sempre controcorrente perché cerca e ama la verità più di se stesso e la propria stessa vita.
Fin dal primo cristianesimo, questi fratelli furono chiamati “martiri”, ossia “testimoni”, per significare che in primo piano non è anzitutto il loro eroismo e la loro grandezza morale ma semmai, il fatto che essi indicano, con le parole e l’esempio, un Altro tra noi. La vicenda dei martiri “testimonia” un amore più grande della paura e dell’odio, un amore che è una Persona, un Vivente dalla cui mano nessun potere può strapparci, se solo decidiamo con semplicità di cuore di abbandonarci al suo amore e speriamo dalla sua provvidenza la felicità piena. I martiri sono testimoni di speranza, mentre il potere che uccide dimostra solo la paura del futuro. «Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8, 37-39). Il martire non testimonia se stesso, non muore per le proprie idee, ma parla di questo amore più grande e della vittoria sulla morte conseguita grazie a Colui che ci ha amati, che soffre con noi, con noi vive e muore perché noi possiamo risorgere con Lui. Egli esercita questa forza con un amore al quale possiamo affidarci. Cristo è davvero risorto, questo ci dicono i martiri.
Se i martiri, e non gli eroi o i guerrieri, sono stati eletti a patroni delle nostre città è perché l’amore del Signore Risorto custodisce la nostra convivenza, rende possibile il perdono, dà la pazienza infinita per affrontare la quotidiana costruzione delle nostre famiglie e della società, dona la sapienza per stare accanto ai malati e per educare i piccoli, comunica la carità per quel mutuo aiuto in cui è la ragione del nostro stare insieme. Quel che Saturnino continua a testimoniare è la ragione, la forza, la speranza della nostra convivenza.
Per tale ragione la memoria festosa di San Saturnino interroga la comunità cristiana circa il suo rapporto con la città. I cristiani sono profondamente inseriti nel tessuto di questa città, come in tutte, e vivono, per usare l’espressione del recentissimo documento finale del Sinodo dei Vescovi sulla Sinodalità, come “radicati e pellegrini”[1]. Quello del rapporto dei cristiani con la città è un tema assai caro a Papa Francesco, del quale vorrei ripetere alcune convinzioni di fondo.
2. Per realizzare la nostra missione di cristiani, il punto di partenza non è mai il “progetto” o l’”obiettivo”, ma uno sguardo di fede capace di scoprire la presenza del Dio che è nella città, che «abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze»[2]. La considerazione del credente non può limitarsi ad una analisi della situazione storica, economica e sociologica, magari lamentando il progressivo allentamento dei legami ecclesiali e l’avanzata del processo di secolarizzazione. Il cristiano non teme di operare nel corpo vivo della città, ma è chiamato ad agire lasciandosi guidare da uno sguardo contemplativo che riconosca una «presenza [che] non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso»[3]. È una presenza che solo la fede può scoprire. Non ci sono allora luoghi preclusi al cristiano, poiché Dio lo precede sempre, prendendovi dimora. Comprendiamo allora che il primo aiuto che dobbiamo offrire alla nostra comunione è di condividere questo sguardo, cosa vediamo e dove scorgiamo l’azione di un Dio che abita tra noi, del Risorto che continua a camminare attraversando villaggi e città.
Non possiamo pensare di incontrare Dio al di fuori del contesto storico e ambientale dove siamo posti, in un mondo astratto di idee, ma possiamo incontrarlo propriamente nei luoghi dove Dio ha deciso, per amor nostro, di abitare. E se «la città è una casa comune in cui tutti gli elementi che la compongono sono organicamente collegati» (G. La Pira), il cristiano cerca e incontra Dio dentro, non fuori, questo intreccio di luoghi, attività e persone: nel lavoro e in famiglia, nei quartieri e nelle chiese, negli ospedali e nelle scuole, nella politica e nelle opere di solidarietà. Dio si incontra nel qui ed ora in cui la Provvidenza ci ha posto.
3. Il Papa invita a scorgere non solo la presenza di Dio ma anche la domanda di Lui nel cuore di ogni uomo, nella ricerca di un perdono, della giustizia, di un “per sempre” che possa renderci felici e pacificati. Mentre contempliamo il Dio che abita nella città, siamo chiamati a contemplare il senso religioso che, pur confuso e inquieto, abita il cuore degli uomini e delle donne che la abitano: «Nella città, l’aspetto religioso è mediato da diversi stili di vita, da costumi associati a un senso del tempo, del territorio e delle relazioni che differisce dallo stile delle popolazioni rurali. Nella vita di ogni giorno i cittadini molte volte lottano per sopravvivere e, in questa lotta, si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso religioso»[4]. Contemplare, cioè cercare e amare, la nostalgia dell’Altro e dell’Oltre che si cela nel profondo delle inquietudini e nelle lotte dei nostri concittadini ci abilita a dialogare con tutti come un giorno Gesù parlò alla Samaritana[5]. L’icona giovannea è davvero suggestiva e indica che la Chiesa è chiamata a sedere accanto agli uomini e donne di questo tempo per annunciare il vangelo vivo del Signore a coloro che hanno sete. Egli solo svela il fondo del cuore («Mi ha detto tutto quello che ho fatto»), il bisogno che muove («Signore dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete») e apre alla domanda delle fede («Che sia lui il Cristo?»). Non c’è uomo o donna che non abbia vissuto l’esperienza della Samaritana, con la sete profonda, un’anfora vuota, e il desiderio di un esaudimento totale. Serve l’incontro con il Signore.
Per dialogare con tutti, occorre un terreno comune e vien chiesto al credente di «vivere fino in fondo ciò che è umano» e di «introdursi nel cuore delle sfide come fermento di testimonianza, in qualsiasi cultura, in qualsiasi città»[6]. Per incontrare in modo significativo tutti gli uomini e le donne anche noi dobbiamo imparare continuamente a «vivere fino in fondo ciò che è umano», a lasciare che la fede illumini e plasmi il lavoro, gli affetti, la politica, il sentimento della giustizia e del destino. Non dobbiamo aver paura di introdurci nel cuore delle sfide culturali e sociali dell’oggi, purché lo facciamo col desiderio di essere fermento di novità, portando una testimonianza, come quella del giovane Saturnino, capace di aprire alla speranza.
4. Certo, la città sta cambiando, come cambia il senso dell’abitarvi. La mobilità umana rende la città un ambito multiculturale e così al pluralismo dei quartieri si sostituisce quello dei gruppi culturali, etnici e religiosi. Svariati popoli vi convivono di fatto facendo talvolta fatica a riconoscersi in un unico progetto. Nella città vi sono anche tanti “non-cittadini”, che non solo fanno fatica nella loro esistenza ma perlopiù sembrano vivere una vita parallela a quella degli altri. E inoltre, quanto male si pratica anche nelle nostre case e strade, quanta violenza o commercio di droga se non di persone. Cambia anche il concetto di luogo, che non indica sempre uno spazio ma un insieme di relazioni e di appartenenze, anche virtuali. Si abita il web.
La comunità cristiana deve inserirsi in queste sfide sentendosi responsabile di concorrere a creare un clima di incontro e un orizzonte comune tra persone di diversa cultura e di diversa condizione sociale.
Pensiamo all’impatto che ha nelle nostre comunità l’incontro con i fratelli del sud del mondo o dell’est di rito bizantino, con le loro percezioni, i loro riti, le loro espressioni culturali. Possiamo per questo realizzare la comunità cristiana come una vera comunione cattolica, comunione dei credenti «di ogni tribù, lingua, popolo e nazione» (Ap 5,9; 7,9) e dare così un contributo vero al riconoscimento vicendevole e all’incontro dei gruppi che vivono in questa città. Mi pare che la nostra Chiesa, per il tesoro di fraternità e di carità operosa verso tutti che custodisce, può contribuire in modo efficace a far crescere una vita comunitaria e la pratica di relazioni di amicizia nei nostri quartieri e tra gruppi culturali diversi.
Possiamo essere fermento di novità e di solidarietà dentro la città nella misura in cui possiamo sentirci parte di un popolo che crede, che ama, che spera. La nostra forza è appartenere al popolo di Dio che vive dentro la comunità degli uomini: «diventare un popolo è qualcosa di più, e richiede un costante processo nel quale ogni nuova generazione si vede coinvolta. È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia»[7]. Siamo chiamati, come cristiani e cittadini, ad avanzare in questo lavoro di diffusione della cultura dell’incontro, di una convivenza armoniosa, di una solidarietà reale.
5. La grazia di accogliere la testimonianza di fede, speranza e carità di San Saturnino genera uno sguardo di fede verso la nostra città e il sentimento di una responsabilità perché questa si edifichi come casa comune e perché cresca in essa un popolo solidale, unito, pieno di speranza. Serve un desiderio gratuito e un impegno costante e instancabile, una pazienza grande e instancabile. Con la grazia di Dio e per intercessione di San Saturnino, ci mettiamo al lavoro, come canta il poeta: «C’è un lavoro comune \ Una Chiesa per tutti \ E un impiego per ciascuno \ Ognuno al suo lavoro» (Da “Cori dalla rocca” di T.S. Eliot).
NOTE
[1] Documento Finale della Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre 2024) “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”, n. 110.
[2] Francesco, Esortazione ap. Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 71.
[3] Ibid., n. 71.
[4] Ibid., n. 72.
[5] Cf. Ibid., n. 72.
[6] Ibid., n. 75.
[7] Ibid., n. 220.