Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per l’inaugurazione dell’anno accademico della Facoltà teologica

Omelia per la Santa Messa di inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025 della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna

Chiesa di Cristo Re, lunedì 14 ottobre 2024

Gal 4,22-24.26-27.31-5,1

Lc 11,29-32

A voi, carissimi fratelli Vescovi, e al preside, ai docenti, al personale amministrativo e tecnico, agli alunni, amici e sostenitori della Pontificia Facoltà Teologica di Sardegna, insieme alle autorità civili, accademiche e militari qui convenute, rinnovo il saluto iniziale della liturgia: La pace sia con voi! Non è un vago augurio, ma un annuncio di fede che più volte viene ripetuto durante la celebrazione eucaristica perché la pace è il primo dono del Risorto.

La pace, insegnava Giovanni Crisostomo, «è la madre di tutti i beni, ed è proprio questo il fondamento della gioia». Non è quindi la tranquillità di una pausa nel conflitto o l’ordine che consegue all’esercizio di un potere che non ammette moti contrari, – anche quella è una pace, ma simile a quella del cimitero – la pace è la vita bella, piena, la vita riscattata dalla paura e dall’incertezza del peccato e della morte, è la pace che riceviamo in dono e che ci scambiamo. Anche per questo, siamo invitati a riconoscere Colui che è qui: qui vi è uno più di Salomone, qui adesso vi è uno più di Giona, perché solo il Risorto può dare questa pace, solo Lui ha già vinto la morte. Qui vi è Cristo Gesù la nostra pace (cf. Ef. 2,12). È apparso ai discepoli impauriti e per questo rintanati, a porte chiuse annunciando e comunicando il primo dono della risurrezione: Pace a voi! (Lc 24,36; Gv 20,29). E come Cristo ha mostrato sulle mani e i piedi i segni della crocifissione, – perché la pace costa – così anche noi possiamo donare la pace agli uomini mostrando nel corpo, nella nostra comunione i segni della vera pace: una vita riconciliata, la comunione fraterna, la carità reciproca, l’accoglienza amichevole degli altri, soprattutto dei più bisognosi, la concordia, il perdono.

Siamo credibili se mostriamo in noi la pace che annunciamo. Insegna l’Ordinamento generale del Messale Romano, a proposito del rito della pace che fra poco vivremo, che «la Chiesa implora la pace e l’unità per se stessa e per l’intera famiglia umana, e i fedeli esprimono la comunione ecclesiale e l’amore vicendevole, prima di comunicare al Sacramento» (n. 82). Con lo scambio della pace, infatti, i fedeli «si manifestano reciprocamente pace, comunione e carità» (n. 154). Qui si compie ciò che siamo chiamati a svolgere nel mondo come missione della nostra vocazione. Un antico autore commentava: «Come il pane del corpo di Cristo viene portato a costituire un’unità a partire da molti chicchi, e quel vino da molti acini di un grappolo viene portato a costituire un’unica bevanda, così il Signore ha voluto che anche coloro che sono in relazione con lui stiano nell’unica compagnia della pace e nell’unità della fede, e ha consacrato questo mistero di amore e di unità proprio sulla sua mensa». Cari amici, apriamo agli uomini la nostra compagnia della pace e l’unità della fede. Annunciamo e doniamo la pace, portiamola a tutti gli uomini in difficoltà, che soffrono e attendono! La nostra concordia è profezia e strumento del rinnovamento del mondo intero. Qui vi è uno più grande, da qui può partire qualcosa di più grande.

Certo si esige un cambiamento di mentalità come allora Gesù chiese ai suoi interlocutori. Un cambio di mentalità rispetto a quella di una “generazione malvagia” che cerca la soddisfazione del proprio interesse e potere, che per questo cerca complici e vittime, è richiesta la conversione da quell’idolatria di se stessi che è l’origine della guerra. È richiesta quella conversione che consiste nell’accoglienza del “segno di Giona”, di quella riconciliazione tra cielo e terra e tra uomo e uomo che si compie sulla croce, generando l’amicizia e la pace (cf. Ef 2,12-18).

Non possiamo certo negare che la violenza sia stata talvolta giustificata da un fattore religioso e che la stessa fede cristiana sia stata utilizzata a volte in modo abusivo, cioè in contrasto evidente con la sua vera natura, per giustificare la violenza. Nel recente viaggio in Indonesia, Papa Francesco e il Grande imam Nasaruddin Umar, hanno firmato nella moschea di Hakarta la Dichiarazione congiunta di Istiqlal 2024 al fine di promuovere l’armonia religiosa per il bene dell’umanità, con la convinzione che «i valori condivisi dalle nostre tradizioni religiose dovrebbero essere promossi efficacemente per sconfiggere la cultura della violenza e dell’indifferenza che affligge il nostro mondo. In effetti, i valori religiosi dovrebbero essere orientati alla promozione di una cultura di rispetto, dignità, compassione, riconciliazione e solidarietà fraterna per superare sia la disumanizzazione, sia la distruzione ambientale». Il valore religioso è la ricerca di un tutto che si può ammirare in ciascun frammento, di una ragione ultima che giustifica ogni cosa.

Dio è il Creatore e il Padre di tutti gli uomini, a partire da Lui tutte le persone possono essere riconosciuti fratelli e sorelle, parti di un’unica famiglia. La Croce di Cristo che permane ferma mentre il mondo gira, è per noi il segno di un Dio che ha scelto di soffrire con l’altro e di amare l’altro. Il suo nome è «Dio dell’amore e della pace» (2 Cor 13,11). Occorre trovare nuovi modi, strade persuasive per manifestare questa capacità della fede di stringere amicizia, di ricostruire delle dimore buone lì dove invece la violenza distrugge. È compito di tutti, è compito della Facoltà, dei docenti, degli studenti, è compito di chi pensa e di chi agisce.

C’è bisogno di una nuova iniziativa che veda coinvolta la comunità cristiana e direi soprattutto la Sardegna, quest’isola posta nel cuore del Mediterraneo. A Trieste, il luglio scorso, il Papa diceva che «non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto di essere ascoltati, ma avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico». Rientrare nel dibattito pubblico ponendo questioni così importanti. La coscienza che abbiamo qualcosa di importante da dire, deve vederci promotori di iniziative, di proposte, per curare le cause di ciò che ci turba e dare voce a chi non ce l’ha. Ancora il Papa parlava di un amore politico «che non si accontenta di curare gli effetti ma di affrontare le cause» (Discorso in occasione della 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, 7 luglio 2024). Perché “amore” politico? Perché davvero chi ama l’uomo non può non desiderare che la sua vita si svolga in serenità, in pace, carica di senso per giungere al destino per cui è stata creata.

La pace è possibile. Il mondo può cambiare. Se crediamo in un Dio che muore e risorge possiamo ben credere al cambiamento del mondo e così resistere a qualsiasi tentazione di fatalismo e di rassegnazione. Le sorti dell’umanità non sono in mano a chi ha più armate o divisioni. Il Concilio Vaticano II dice che il futuro è «riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza» (GS 31). Quanta responsabilità ha quindi un’istituzione educativa come questa. La pace è un dono che invochiamo con tutto il cuore ma richiede al tempo stesso una responsabilità collettiva, e anche la visione e il coraggio di qualcuno – accade sempre così – che si assume il compito di dare forma storica al desiderio di tutti. È una responsabilità anche per la Pontificia Facoltà, una responsabilità educativa di pensiero e di esperienza, per far crescere e promuovere occasioni di incontro. Dobbiamo educare le nostre comunità ad essere fermento di pace.

Cari fratelli, viviamo la gioia del Risorto, è da questa gioia che può nascere qualcosa di nuovo, dalla gioia, perché è l’unica cosa libera, la gioia di una gratuità che nessun potente potrà toglierci, perché il mondo nuovo sarà solo per la gratitudine di un incontro decisivo. Tutta la Chiesa, e ciascuno di noi in essa, possiamo essere degni del mandato del Signore a far scendere la pace in ogni casa (Lc 10,5). Allora saremo beati (Mt 5,9).

Iniziamo il nuovo anno accademico nel nome della santissima Trinità, sotto la protezione di Maria, sede della sapienza e regina della pace.

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