Omelia per la Messa in onore di Sant’Ignazio da Laconi
Laconi, 30 agosto 2024
Carissimo fratello Vescovo Roberto,
carissimi padri cappuccini, presbiteri, persone di vita consacrata,
gentili autorità civili e militari,
carissimi tutti fratelli e amici in Cristo,
sono venuto a pregare con voi in pellegrinaggio in un luogo e in questo giorno dedicati a Sant’Ignazio da Laconi, la cui figura è fissata amorevolmente nella memoria del popolo di Sardegna. Tanti cagliaritani ogni giorno si recano nel santuario a lui dedicato per pregare, per ringraziare e invocare aiuto e grazia, salute e salvezza. Quante storie ogni giorno sono raccontate, nel silenzio della preghiera, presso la tomba del santo! Per 40 anni le strade di Cagliari furono il campo di apostolato di fra Ignazio, come testimoniava anche un pastore protestante (Giuseppe Fues). Che la venerazione dell’umile frate abbia attraversato i secoli e raduni ancora tanta gente commossa è segno della vittoria della fede sulla morte e della vicinanza di Dio.
La contemplazione dei santi è un’attitudine profondamente cristiana. «Cercherai ogni giorno la compagnia dei santi, per riposare sulle loro parole» (Didaché IV, 2). All’esortazione di questo antico testo cristiano corrisponde la certezza di Sant’Agostino per il quale nelle difficoltà della vita, dentro la nostra storia complicata ma bellissima, ci viene in aiuto la grazia di Dio con i «grandi soccorsi dei rimedi mediante le cose sante e i santi (per sancta et sanctos)». La grazia di Dio offre il soccorso dei sacramenti e dei santi, il cui esempio e la cui intercessione sostengono la nostra speranza, e diventano motivo per affrontare la vita in modo forte, audace, creativo proprio perché religioso. I santi dicono la presenza di Dio tra gli uomini, di un Dio che abita nelle nostre città, che cammina con gli uomini e siede con loro nelle case, che parla a tutti negli ambienti di vita e di lavoro. Il volto dei santi conforta perché testimonia il Dio-con-noi, la bellezza e la forza della grazia presente capace di trasfigurare l’esistenza divenendone la consistenza. Contempliamo i santi, cerchiamone la compagnia d’amicizia, imitiamone l’esempio, invochiamone l’intercessione per la vita presente e quella futura.
Proprio in Sardegna, Paolo VI diceva che la santità «è fondamentalmente una sola, quella di Cristo, e […] oggi, come ieri, è fatta di amore di Dio, di preghiera, di dono di sé al servizio del prossimo, di lotta contro le passioni, di ubbidienza, di amore alla croce di Cristo. Ecco il vero rinnovamento di cui la Chiesa oggi ha urgente bisogno, e se c’è questo, tutte le altre riforme verranno e saranno veramente utili per il regno di Dio» (Discorso al clero e ai futuri sacerdoti di Cagliari, 24 aprile 1970). I santi hanno sempre cambiato il volto della Chiesa, riformandone i costumi e l’azione pastorale. Il santo testimonia che l’universo non è vuoto e che a partire dalla novità cristiana è possibile rinnovare la Chiesa e il mondo intero.
Pio XII, qualche giorno dopo la canonizzazione, avvenuta 21 ottobre 1951, diceva di Sant’Ignazio che, nonostante un aspetto esteriore poco attraente, aveva guadagnato la simpatia e la venerazione di tutte le classi della società non in forza di una cultura scolastica ma di altra eloquenza: «quella che va dritta al cuore dell’Onnipotente gli basta, e il suo apostolato durante quaranta anni produce frutti, che potrebbero essere invidiati da tanti predicatori di grido». L’eloquenza di quel frate analfabeta produce ancora frutti di bene negati invece a tanti predicatori colti ma incapaci di parlare di Dio agli uomini, forse perché non abituati a parlare degli uomini a Dio. La Chiesa deve saper recuperare l’eloquenza essenziale di chi parla al cuore di Dio e perciò sa parlare al cuore degli uomini. Anche San Paolo dichiara di aver annunciato Gesù Cristo, e Cristo crocifisso, senza sapienza umana ma solo in forza della potenza di Dio, senza eccellenza di parola e discorsi persuasivi ma solo in forza della manifestazione dello Spirito e la sua potenza (cf. 1Cor 2,1-5). La potenza di Dio si serve della povertà e debolezza dei testimoni, la cui stessa esistenza è parola eloquente.
Il premio Nobel Grazia Deledda ricordava che il nostro santo frate «non ha scritto un rigo, perché era analfabeta, non ha lasciato una dottrina, perché non era un filosofo, non ha fondato nessun Ordine, perché non era uomo di geniali e coraggiose iniziative. Un povero frate questuante era fra Ignazio, il servo di tutti, l’ultimo degli uomini: eppure egli fu l’uomo più ricordato del Settecento sardo». La sapienza che sa leggere, l’eloquenza che sa convincere, è sempre quella dell’amore.
Sant’Ignazio è divenuto santo e ha meritato una grande fama proprio per aver vissuto tra il popolo, a contatto con le persone che lavorano, che lottano per una vita migliore per se stessi, la famiglia e la società. Gli episodi della sua vita sono racconti di incontri con tutti i tipi umani e in ogni frangente dell’esistenza. Nel cristianesimo, infatti, la fiamma e l’intelligenza della fede si trasmettono ordinariamente per l’incontro con persone il cui modo di fare, di parlare, di vivere manifesta la presenza di un Altro, di un Dio che diventa conoscibile e attraente proprio per la loro testimonianza bella. Gli incontri di Ignazio svelano anche la posizione del cuore degli uomini, diventando motivo di vera conversione, soprattutto per i violenti o gli scettici irridenti. A tutti Ignazio ricorda che non è lecito arricchirsi con il “sangue dei poveri”.
Per l’uomo di fede ogni incontro diviene significativo, occasione di testimonianza e amore. Nell’incontro personale, infatti, l’amore a Dio diviene compassione, aiuto e solidarietà. Non possiamo vivere una fede intimistica e marginale. Dio ci chiama a una fede che trasfigura l’esistenza e che vuole comunicarsi a ogni uomo, che ci fa conoscere gli altri in modo nuovo, non più banale. Il discepolo imita Gesù, il «medico dell’amore divino integrale, cioè della guarigione fisica, sociale e spirituale» (papa Francesco), va verso i fratelli poveri e bisognosi, e a partire da questo amore concreto, pieno di speranza e fondato nella fede, costruisce con gli altri un mondo più sano e giusto. Che la devozione di Sant’Ignazio divenga motivo di rinnovato incontro tra noi, di amore vicendevole, di protagonismo dell’intera comunità a favore dei più poveri e sofferenti. La devozione a Sant’Ignazio ci spinga all’attenzione reciproca e alla vera amicizia.
È straordinariamente significativo che per decenni, Sant’Ignazio, come secoli dopo il Beato Nicola da Gesturi, abbia attraversato le strade di Cagliari con la bisaccia, da frate cercatore, facendosi simile al Signore Gesù, il Figlio di Dio incarnato, fatto uomo per cercare gli uomini e per farsi cercare, per mendicare la fede e per attirare a sé ogni uomo in ricerca. «Non cerco i vostri beni, ma voi» (2Cor 12,14). Per San Francesco i frati devono cercare fiduciosamente l’elemosina perché stanno nel mondo come pellegrini e forestieri, sull’esempio di Cristo, «poveri di cose e ricchi di virtù». La vera ricchezza è la virtù di chi non si vergogna della povertà di Cristo, di chi vive chiedendo e cercando. La ricchezza dei cristiani è immedesimarsi con Gesù Cristo che cerca gli uomini e li attira. Egli è il cercatore ricercato. Così fu anche Ignazio.
Ancora la scrittrice Grazia Deledda osservava che l’immagine di Sant’Ignazio «ce lo presenta già vecchio, già forse cieco; con il Rosario, il bastone, la barba ispida, il viso bruno camuso: non ha nulla del serafico: è però l’antico pastore sardo, nella cui bisaccia si nasconde un tesoro di sapienza e di virtù». Cari amici e fratelli di Sardegna, la sapienza e la virtù che ancor oggi incantano in Sant’Ignazio sono le stesse che dobbiamo chiedere per noi: la sapienza di Dio, le virtù della fede, della speranza e dell’amore.