Omelia per la festa di S. Agostino, a conclusione delle iniziative per l’arrivo in Sardegna di una reliquia di Sant’Agostino nel XIII centenario della traslazione delle spoglie del Santo da Cagliari a Pavia.
Chiesa di Sant’Agostino, Cagliari, 28 agosto 2024
Carissimi in Cristo,
che le iniziative per l’arrivo a Cagliari della reliquia di Sant’Agostino si concludano con la celebrazione della Santa Messa non è certo un caso, ma un atto di fede e di vera carità. Tutta la nostra intelligenza ci conduce qui, attorno all’altare, ad adorare il Signore presente.
1. Le reliquie hanno sempre ricevuto nella Chiesa una particolare venerazione e attenzione (cf. SC 111) perché ci ricordano che l’uomo è destinato alla risurrezione nella sua interezza, e che quindi la speranza definitiva, l’attesa ultima, è la risurrezione della carne (Simbolo degli Apostoli). Il corpo dei Beati e dei Santi è una sorta di memoria del futuro. Il corpo, inoltre, è stato sulla terra il tempio vivo dello Spirito Santo e lo strumento, la circostanza, della santità, che è l’amore totale a Dio. Testimonia San Paolo: «Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,19-20). La reliquia del Santo ci ricorda la radicalità di una fede incarnata nella totalità e concretezza dell’esistenza e di una vita trasfigurata dalla fede del Signore morto e risorto. Dividere il corpo dalla fede significa non comprendere adeguatamente il mistero dell’incarnazione (per il quale il Verbo si fece carne: Gv 1,14) e della risurrezione (per il quale il Signore è risorto nel suo vero corpo: Lc 24,39). Ringraziamo per questa ragione quanti si sono prodigati per le belle iniziative di questi giorni, iniziative di culto e di cultura, e per il dono della reliquia. Desidero ringraziare in particolare la Deputazione di Storia Patria per la Sardegna, nella persona della prof.ssa Luisa D’Arienzo, e il Postulatore generale dell’Ordine di Sant’Agostino, padre Josef Sciberras.
2. Tutte le nostre riflessioni e azioni, i nostri incontri e fatiche, adesso, si compiono nella comunione d’amore con Cristo stesso, in questa santa eucarestia. Il Santo Vescovo di Ippona ci avvisa: «Che cosa dunque può bastarti delle cose che Dio ha fatto, se Dio stesso non ti basta?» (Esposizione sui Salmi, 30 II, 3,4). Senza Dio, neanche le cose che Lui ci dona possono bastarci. L’animo dell’uomo è strutturalmente inquieto, sempre in cerca di verità e di felicità, affamato di un “di più” così grande che non possono bastare neanche le “cose che Dio ha fatto”. Solo “Dio stesso” può bastare. All’abisso infinito del cuore umano corrisponde solo l’amore infinito di Dio. I nostri studi come i nostri affetti ci appassionano, ci danno gioia e gusto, ma non saziano. In ogni cosa ricerchiamo e seguiamo le tracce dell’Unico per cui siamo nati e per il quale è fatto il nostro cuore. Senza questa lieta inquietudine anche la fede può scadere nella dimenticanza o nella consuetudine delle cose scontate che, a poco a poco, smettono di dare sapore alla vita. Preghiamo Sant’Agostino per poter vivere anche noi la passione della ricerca e la pace della fede, la fame di Dio e la gioia della Sua presenza.
3. Conoscere Cristo è anche conoscere intimamente se stessi e gli altri: «O Dio che sei sempre il medesimo, che io abbia conoscenza di me, che io abbia conoscenza di te» (Soliloqui, II,1,1). Non qualcosa da possedere o un pensiero da condividere, ma la persona di Cristo svela all’uomo il proprio mistero. Colui che, in questo modo, conosce se stesso sa anche entrare nel cuore degli altri, leggervi la nostalgia di Dio, la domanda di una pietà, l’attesa della felicità, la ricerca della verità e, soprattutto, l’esigenza di un Salvatore. Cristo è la chiave che apre il mistero dell’uomo.
4. Il Padre Agostino dice che alimentarci del pane vivo disceso dal cielo (Gv 6, 41) è una grande “elemosina all’anima” nostra (cf. Discorso 106, 4). L’incontro con la presenza viva di Cristo nel suo corpo e nel suo sangue è un atto di intelligente carità verso noi stessi. Poiché di questo pane abbiamo bisogno, questo pane con insistenza e infinito desiderio chiediamo senza stancarci: «Quando diciamo: Dacci oggi il nostro pane quotidiano, possiamo intenderlo molto bene anche dell’Eucaristia, il cibo quotidiano. […] “Cerchiamo di vivere in modo da non essere separati dal tuo altare”. Anche la parola di Dio che vi si spiega ogni giorno e in un certo modo vi viene spezzata, è un pane quotidiano. E come di quell’altro pane ha fame il ventre, così di questo ha fame lo spirito. Anche questo dunque domandiamo con semplicità» (Discorso 58, 4.5). La preghiera del Padre nostro ci renda consapevole della fame dello spirito e del dono della mensa della Parola e dell’eucarestia.
5. «Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16). Attorno a questo altare, alla presenza della reliquia di Sant’Agostino, vogliamo imparare di nuovo la carità: come alla nostra indigenza corrisponde l’amore di Cristo, così alla povertà dei nostri fratelli deve corrispondere la nostra carità. Sant’Agostino avverte che per dare ai poveri il pane terreno, dobbiamo anche noi sentirci bisognosi di quello celeste. Il Signore «non potrà darvi il suo pane se voi non date aiuto a chi è nel bisogno. Avete davanti qualcuno che è nel bisogno, mentre a vostra volta siete nel bisogno davanti a un Altro; sono diversi questi due rapporti di bisogno, il primo verso di voi, è bisogno nei confronti di uno che a sua volta è nel bisogno nei confronti di un Altro che non ha bisogno di nulla. Fa’ da parte tua quello che vorresti sia fatto nei tuoi confronti» (Discorso 389, 6). Non possiamo davvero vivere ed esprimere la carità verso il prossimo se non sentiamo di essere anche noi indigenti e mendicanti. Poiché siamo poveri e abbiamo bisogno di un Altro, ci sentiamo solidali con chi è povero e ha bisogno di noi. Aiutiamo chi bussa alla nostra porta per poter con efficacia bussare alla porta di Dio.
6. «Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi» (1Gv 4,12). Dio è amore ed è possibile “vederlo” nella carità della Chiesa: «Quale volto ha l’amore? Quale forma, quale statura, quali piedi, quali mani? Nessuno lo può dire. Esso tuttavia ha i piedi, che conducono alla Chiesa; ha le mani, che donano ai poveri; ha gli occhi, coi quali si viene a conoscere colui che è nel bisogno» (Commento alla Prima Lettera di Giovanni, Omelia 7,10). Chiediamo, per intercessione di Sant’Agostino, quella carità che fa di noi piedi, mani e occhi dell’amore che è Dio, e nel quale Dio stesso può essere riconosciuto e creduto.
7. «Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri» (1Gv 4,11). Vorremmo chiedere anche il dono dell’unità. Sant’Agostino ne fa un motivo ricorrente nelle sue catechesi sull’eucarestia. Mangiare e bere il corpo e il sangue di Cristo significa mangiare quel che ci unisce (cf. Discorso 228/B). Siamo raccolti in unità perché membra dell’unico Corpo di Cristo, come molti acini sono attaccati al grappolo, ma il loro succo si fonde in un tutt’uno. Cristo Signore ha voluto «che facessimo parte di lui, [e] consacrò sulla sua mensa il sacramento della nostra pace e unità. Chi riceve il sacramento dell’unità e non conserva il vincolo della pace riceve non, un sacramento a sua salvezza ma una prova a suo danno» (Discorso 272). La parola pace esprime bene la nostra aspirazione in questo momento drammatico di guerre e di divisioni. Chiediamo al buon Dio, per intercessione di Sant’Agostino, di poter ricevere il sacramento dell’unità per conservare il vincolo della pace. Abbia unità e pace la Chiesa, e così sia profezia e principio di unità e di pace dell’umanità intera. Il Santo Vescovo di Ippona ci aiuti in questo, e ci faccia testimoni di unità, operatori di pace.