Omelie Vescovo

Omelia del Vescovo per la messa in suffragio del Papa emerito Benedetto XVI

EPIFANIA DEL SIGNORE 2023

Santa Messa Vespertina, in suffragio del Papa emerito Benedetto XVI.

Cattedrale di Cagliari, 5 gennaio 2022, terzo anniversario della consacrazione episcopale e dell’inizio del ministero nella diocesi di Cagliari.

Is 60,1-6
Ef 3,2-3a.5-6
Mt 2,1-12

 

Siamo raccolti per pregare il Buon Dio perché accolga nel suo regno il papa emerito Benedetto XVI e gli doni “la gioia di contemplare in eterno i misteri della grazia e della misericordia che sulla terra ha fedelmente dispensato al suo popolo”.

Non possiamo non lasciarci interrogare dalle centinaia di migliaia di persone, molte dei quali giovani, che hanno reso un silenzioso omaggio alla salma di Benedetto in questi giorni e che stamani hanno partecipato alla Messa Esequiale riempiendo Piazza San Pietro. Cosa li ha mossi?

1. Benedetto XVI ha saputo parlare ai fedeli e alle persone in ricerca con il linguaggio dell’essenziale, della ricerca religiosa e della fede come bellezza, gioia, vita, apertura infinita. La sua passione è stata quella di “aprire un cammino verso l’autentico senso religioso della vita, che mostra come il dono della fede non sia assurdo, non sia irrazionale” (Udienza 7 novembre 2012). Ha cercato di mostrare che Dio non è superfluo, di troppo o fuori moda. Parlare di Dio significa cercare la sapienza della vita, non accontentarsi del presente e non disperare del futuro, appassionarsi a ciò che vale e che dura, lasciarsi attrarre, mettersi in ricerca continua del senso che dà ragione di tutto. Benedetto XVI ha anche proposto, nell’anno della fede 2012-2013, una sorta di pedagogia del desiderio, sia per chi ancora non crede sia per chi ha già ricevuto il dono della fede, per “imparare o re-imparare il gusto delle gioie autentiche della vita” e per accogliere quella “sana inquietudine che porta ad essere più esigenti – volere un bene più alto, più profondo – e insieme a percepire con sempre maggiore chiarezza che nulla di finito può colmare il nostro cuore” (Udienza 7 novembre 2012). Benedetto ha parlato alla sana inquietudine degli uomini. Parlando dell’Epifania, insegnava che quei magi “erano, in ogni caso, uomini dal cuore inquieto. Uomini spinti dalla ricerca inquieta di Dio e della salvezza del mondo. Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale forse considerevole. Erano alla ricerca della realtà più grande… Il loro pellegrinaggio esteriore era espressione del loro essere interiormente in cammino, dell’interiore pellegrinaggio del loro cuore. Erano uomini che cercavano Dio e, in definitiva, erano in cammino verso di Lui. Erano ricercatori di Dio” (Omelia 6 gennaio 2013).

2. I Magi hanno imparato davanti alla mangiatoia di Betlemme che la ricerca si tramuta in gioia nell’incontro con il volto di Gesù. Nell’Enciclica Deus caritas est, Benedetto ha insegnato che all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, “che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (n. 1). La fecondità di questo incontro si realizza nell’adorazione, che compie l’unione più radicale, una sorta di implicazione reciproca per la quale Dio è dentro di noi e noi siamo in Lui. Non lo sforzo eroico della volontà ma la semplicità ardente dell’amore compie l’unione con l’Amato presente.

3. Benedetto XVI ha sempre indicato in questa trasformazione dell’amore la vera testimonianza cristiana nel mondo, che esige l’annuncio della fede come amica dell’umano e la diaconia della carità, ma sempre ad opera di un soggetto cambiato, della creatura nuova che sgorga dal battesimo. A Verona, nel discorso al Convegno della Chiesa Italiana ha magistralmente insegnato che la risurrezione di Cristo opera una trasformazione che “giunge a noi mediante la fede e il sacramento del Battesimo, che è realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova. È ciò che rileva San Paolo nella Lettera ai Galati: ‘Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me’ (2, 20). È stata cambiata così la mia identità essenziale, tramite il Battesimo, e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, ‘aperto’ mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così ‘uno in Cristo’ (Gal 3, 28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. ‘Io, ma non più io’: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della ‘novità’ cristiana chiamata a trasformare il mondo” (19 ottobre 2006). La lunghezza della citazione è giustificata dall’importanza del messaggio. Il protagonista della trasformazione del mondo è il battezzato che, in Cristo e nella comunione della Chiesa, rende presente la novità del Risorto! Un io trasfigurato, che ha come nuovo spazio di esistenza Cristo, può trasfigurare il mondo.

4. I santi, allora, sono i veri protagonisti della trasformazione del mondo, quanti cioè vivono una novità di ragione e di sentimenti che non ha altra causa che l’incontro con il Risorto e l’amore a lui e agli uomini. I santi rinnovano il mondo, non i “perfetti”. Come è stato leale Benedetto nel dire al mondo, in quell’indimenticabile 11 febbraio 2013, la diminuzione del proprio vigore, quello necessario ad amministrare bene il ministero petrino. Anche la debolezza, infatti, diviene annuncio. Guardiamo l’Apostolo Pietro: l’amore a Gesù Cristo era stato più grande dell’umiliazione della propria debolezza, ed egli renderà compiuta testimonianza quando sarà debole, non più pienamente in forze. La fragilità umana (l’indebolirsi delle forze, la malattia e la vecchiaia), nell’amore di Dio e del prossimo diviene misteriosamente un segno della misericordia del Padre e della vittoria di Cristo, la fede (Cf. 2 Cor 4,7). Abbiamo compreso in questi dieci anni, che la dedizione totale al Signore e alla Chiesa sua Sposa nel silenzio, nella preghiera e nella riflessione, è bella e feconda. Nella Deus caritas est Benedetto XVI ha scritto “Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore. Egli sa che Dio è amore (cfr 1 Gv 4, 8) e si rende presente proprio nei momenti in cui nient’altro viene fatto fuorché amare” (n. 31c). La testimonianza più grande non è data dall’azione convulsa ma dall’amore con cui offriamo noi stessi all’Amato presente negli uomini che si incontrano e negli avvenimenti che ci raggiungono nella storia. Dio è amore e nell’amore dei suoi servi, anche quando non può farsi altro, si fa vicino all’uomo di ogni tempo. In questi anni, Benedetto, ha “lasciato parlare solamente l’amore”.

5. Vi ringrazio, cari fratelli, del pensiero e della preghiera per me in occasione del terzo anniversario della ordinazione episcopale. Conosco meglio il peso delle mie insufficienze e la bellezza del compito che mi è affidato, come pure la grandezza di questa Chiesa alla quale sono stato consegnato.  Nell’omelia del 6 gennaio 2012, Benedetto tracciava questa figura del Vescovo: “L’inquietudine dell’uomo verso Dio e, a partire da essa, l’inquietudine di Dio verso l’uomo devono non dar pace al Vescovo. È questo che intendiamo quando diciamo che il Vescovo dev’essere soprattutto un uomo di fede. Perché la fede non è altro che l’essere interiormente toccati da Dio, una condizione che ci conduce sulla via della vita. La fede ci tira dentro uno stato in cui siamo presi dall’inquietudine di Dio e fa di noi dei pellegrini che interiormente sono in cammino verso il vero Re del mondo e verso la sua promessa di giustizia, di verità e di amore. In questo pellegrinaggio, il Vescovo deve precedere, dev’essere colui che indica agli uomini la strada verso la fede, la speranza e l’amore”. Sono ben consapevole della distanza della mia vita rispetto a questa figura di Vescovo, uomo dal cuore inquieto, pellegrino che precede gli uomini sulla strada verso Dio. Pregate per me, carissimi fratelli, e per la nostra Chiesa perché abbia la grazia di far splendere in modo ancora più luminoso, come la stella dell’Epifania, il volto di Cristo.

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