Omelia per il diaconato di Antonio Miccichè, sabato 10 settembre 2022. Basilica Sant’Elena Imperatrice, Quartu Sant’Elena.
Es 32,7-11.13-14
Dal Sal 50 (51); 1 Tm 1,12-17; Lc 15,1-32
Antonio sta per essere ordinato diacono. La preghiera consacratoria e l’imposizione delle mani spiegano in modo eloquente che l’effusione dello Spirito Santo è l’origine della elezione e della missione sua e di tutti i ministri, come della loro santificazione.
L’origine di tutto è l’effusione dello Spirito che è puro dono. Il sacramento che stiamo celebrando, caro Antonio, mai può essere considerato una conquista, nessuno può pensare di averlo meritato perché è pura Grazia e può essere solo accolto con umile e lieta gratitudine.
La preghiera di consacrazione ha il suo momento culminante ed essenziale nelle seguenti parole: «Ti supplichiamo, O Signore, effondi in lui, (in Antonio) lo Spirito Santo, che lo fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compia fedelmente l’opera del ministero». È importante, caro Antonio, ricordare sempre che sei stato chiamato ad essere ministro del Vangelo e della carità di Cristo perché destinatario di questo dono di misericordia. “Ti supplichiamo”: sarai ordinato diacono perché il Padre ha accolto la supplica che, a nome della Chiesa, sto per elevare. All’origine di ogni ministero c’è la misericordia del Padre che vede la situazione dei suoi figli, ascolta le preghiere della sua Chiesa e sceglie alcuni uomini per visitare il suo popolo, elegge alcuni per raggiungere tutti. Siamo ministri perché mandati, non perché l’abbiamo scelto ma perché siamo stati scelti, per cui la consistenza vera della nostra missione è l’essere mandati. Siamo stati scelti per una missione. Il mistero della nostra vocazione trova la sua permanente, non solo cronologica, sorgente nella carità di Cristo che ci ha scelti, senza merito alcuno, rispondendo alla supplica della Chiesa. Tutto nasce da una supplica che il Padre misericordioso ascolta. É la ragione della tua gioia, della gioia della tua famiglia, della comunità di Santa Giusta di Uta, della comunità di Sant’Elena di Quartu, del Seminario, di tutto il popolo di Dio.
Impariamo dall’Apostolo Paolo cosa possa significare questo. Egli vive e lotta per annunciare agli uomini che «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori» e sa bene che la forza di questo annuncio è la grazia di un Amore infinito, ricevuto gratuitamente: «Prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù». La forza di quel ma consiste nel fatto che la misericordia non è dovuta a nulla che la precede, non ha bisogno di alcuna condizione previa: è puro dono. L’incontro con essa è il punto di svolta della vita, marca la differenza tra il passato (prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento) e la novità del presente e del futuro (la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato). L’origine del nostro ministero è la misericordia usata nei nostri confronti, che segna l’inizio di una storia nuova che dà alla vita il senso di una nuova missione, di uno scopo, di una ragione di vita. L’incontro con la misericordia di Dio, che riaccade continuamente, segna lo spartiacque tra un prima e il futuro, il presente è la Grazia ed è la Grazia che apre un futuro nuovo. Prima era diverso. L’origine è sempre questa misericordia usata nei nostri confronti e la forza del nostro ministero è lo stupore di questa perenne e grata memoria. “Mi è stata usata misericordia”: non si può non avvertire, nelle parole di San Paolo, tutto lo stupore da cui è pervaso. Quella che abbiamo letto è una lettera che si colloca verso la fine della vita dell’Apostolo ma Paolo è ancora pieno di stupore per ciò che è accaduto quel giorno. Noi siamo convincenti, un padre è convincente, una mamma che parla di Dio è convincente se è piena di stupore, di gratitudine, di memoria per la misericordia che ha sperimentato. La forza persuasiva è nello stupore che si conserva in una grata memoria: «Mi è stata usata misericordia».
La notizia bella che Paolo annuncia e per proclamare la quale giunge ai confini del mondo coincide con il racconto della sua vita, può raccontare qualcosa che lo ha trasformato. Racconta qualcosa che conserva nella memoria, la Grazia che lo ha cambiato: «Per questo ho ottenuto misericordia, (non perché lo ha meritato, prima era un bestemmiatore, ma perché possa dire agli uomini la forza che lo ha trasfigurato) per questo ho ottenuto misericordia perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna». Il missionario è un testimone che può dire “in me” è accaduto qualcosa che offro a tutti, che racconto a tutti, come notizia bella, come opportunità di gioia. Dio usa misericordia perché tu possa raccontare agli uomini ciò che sperimenti, ciò che in te di Dio puoi riconoscere. E perché puoi essere di esempio. Il ministro, il diacono, il sacerdote, un catechista, una mamma, un papà, una vergine consacrata, un cristiano, un battezzato è chiamato ad annunciare un Vangelo che può essere dimostrato solo in noi (in me) e che può essere creduto solo se ci offriamo come esempi affidabili. In forza di cosa pretendiamo che gli uomini credano alle nostre parole quando la vita sembrerebbe dimostrare altro? Gli uomini possono credere solo a un annuncio che si dimostra vero nella gioia, nella fraternità, nella compassione, nel servizio, nell’intelligenza che testimoniamo e che tu, Antonio, potrai testimoniare. E questo è solo Grazia! Consegnandoti il Vangelo, dirò parole tra le più belle dell’intera liturgia della Chiesa: «Ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei divenuto l’annunziatore: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni». Il mondo non ha bisogno di divulgatori ma di testimoni, di gente che può dire “il Signore è misericordia” e in me l’ha dimostrato. Il mondo ha bisogno di questi testimoni, di gente la cui esistenza mostra la forza di trasfigurazione dello Spirito di Cristo. Uomini scelti nei quali Cristo stesso si fa vicino a ogni uomo come servo, pastore, sacerdote, maestro. Come Cristo, così noi.
Il principio costitutivo e l’esempio fondante del diaconato è la diaconia di Cristo, il servo, il pastore, il maestro. Cristo che, come abbiamo sentito nel Vangelo, cerca gli uomini con inquietudine, li abbraccia, fa festa con loro e chiama gli amici a partecipare alla sua gioia. Il Vangelo di oggi, in modo sorprendente e commovente, racconta come è il cuore di Gesù Cristo: cerca gli uomini perduti e corre incontro ai figli che lo cercano. Per spiegare il mistero della sua missione, di lui che «accoglie i peccatori e mangia con loro», Gesù descrive scene di grande movimento, di paura, di ansia, di una ricerca che nell’incontro si trasforma in festa. Il pastore lascia le sue pecore e va in cerca di quella perduta, finché non la trova e allora la riconduce tra le altre e raduna nella gioia i vicini. La donna spazza la casa per cercare accuratamente la moneta perduta e poi invita le vicine alla gioia. Il cuore di Dio è così: cerca l’uomo, cerca chi è lontano, va incontro a chi lo mendica. Questa ricerca, questo uscire da casa, questo lasciare che si scombini anche l’ordine della casa pur di trovare l’unica moneta perduta è segno dell’amore vero. Perché l’amore vero fa follie, tutto il resto è letteratura. Chi ama è disposto a far follie per trovare l’amato, per stargli accanto, per abbracciarlo, per guardarlo in faccia. Non esita a lasciare la casa, a sconvolgere l’ordine stabilito pur di trovarlo. È questo ardente amore che noi dobbiamo invocare continuamente altrimenti come faremo a dire che amiamo gli uomini e Gesù Cristo, come facciamo a dire a noi stessi che stiamo seguendo il Signore se non siamo disposti a lasciare le nostre sicurezze? Per seguire il Signore devo essere disposto a lasciare i miei interessi, altrimenti come faccio a essere credibile? Di cosa sono testimone se mi preoccupo più dell’ordine di casa mia piuttosto che della moneta perduta? Come posso essere credibile se mi compiaccio delle novantanove pecore piuttosto che essere angosciato per l’unica lontana? Chi è disposto a questa follia d’amore ha una ricompensa: la gioia, la gioia cui siamo invitati, è la gioia del buon pastore che chiama i vicini. Chi vive così, caro Antonio e cari fratelli, ha un premio, che non è il successo ma è la partecipazione alla gioia di Dio. La gioia umana, a limite, rende soddisfatti per il raggiungimento di qualche obbiettivo, ma non è vera gioia. La vera gioia è la partecipazione al cuore di Dio che lascia tutto per cercare l’unica pecora. Ma quanto valiamo agli occhi di Dio?
Allora facciamo festa per Antonio, ma il vero modo di far festa è di pensarsi così amati. Dio ha scelto lui, ha scelto me ma per dire agli uomini quanto ognuno valga agli occhi di Dio. Per andare in cerca della pecora smarrita, il pastore non esista a uscire dalle proprie sicurezze e comodità, mentre la donna accetta di mettersi al lavoro per cercare la moneta perduta. Questa disponibilità è l’espressione d’amore vero, che va in cerca dell’amato e non ha pace finché non lo trova. L’amore non gode dell’equilibrio costruito ma dell’incontro con l’amato che è anche frutto di una certa “follia”. Altrimenti di cosa possiamo davvero gioire? La gioia del Vangelo è una gioia condivisa con i vicini.
Caro Antonio, cari amici, se non siamo non dico disposti, ma lieti di andare verso gli uomini, di lasciare casa e ovile per raggiungere gli uomini ai quali siamo inviati, potremo sì cercare un equilibro tra le nostre sicurezze ma mai provare la gioia di Dio, mai essere ammessi (come i vicini del vangelo) alla sua festa. Come potremmo dire agli uomini che siamo inviati da Cristo se restiamo ancorati a noi stessi?
Siamo scelti per partecipare alla gioia di Dio e per far entrare gli uomini nella festa di Cristo. Se non è così, la Chiesa snatura se stessa e noi possiamo ambire a una qualche precaria soddisfazione ma non certo alla gioia vera. La gioia è quella di una mamma che vede il figlio crescere, che gode della sua gioia, che è disposta a lasciar tutto per accudirlo se sta male. Non siamo chiamati ad aver successo ma a partecipare alla gioia del cielo, alla festa di Dio.
La diaconia di Cristo si prolunga e si fa riconoscere dagli uomini nella vita di uomini afferrati e trasformati, a lui configurati nel pensiero e nei sentimenti. Per questo preghiamo per i nostri seminaristi ma tu Prega e vivi, lotta e soffri per questo. E se ti viene chiesta la sofferenza, vivila per questo, per poter essere configurato ai sentimenti di Cristo. Antonio: che in te il ministero coincida con l’esistenza, possa diventare ministro di misericordia perché uomo di misericordia, ministro del Vangelo perché trasfigurato dal Vangelo.
Lasciati configurare a Cristo, a qualunque prezzo. È questa la festa, la gioia di Dio.