Omelia per le esequie di S.E. Mons. Antonio Orrù, Vescovo emerito di Ales-Terralba
Basilica di N.S. di Bonaria, 16 agosto 2022
“Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti” (2Tm 2,8). Il valore dell’omelia in un funerale è solo questo: ricordare la nostra fede in Cristo morto e risorto nel quale anche noi riceviamo la vita piena e definitiva che compie ogni promessa di Dio e ogni aspirazione dell’uomo (cf. 1Cor 15,22). Lo spazio di silenzio che la morte sempre crea non può essere riempito solo dal ricordo dei gesti e delle virtù delle persone defunte o dal dolore del distacco.
Ricordati del Risorto. È una memoria che dà speranza e offre senso alla vita, dando evidenza a ciò che vale perché resta e a ciò che passa. San Paolo può ben mostrare in carcere la forza di questo messaggio di risurrezione che è tutt’uno con la presenza del Signore nella storia. Egli è in catene e soffre ma la Parola di Dio non si lascia incatenare, agisce con potenza e porta frutto (cf. 2Tm 2,9-10). Questo paradosso esalta la forza del messaggio: attraverso strumenti umani fragili e mortali è la stessa potenza divina d’amore e di vita che penetra nel mondo e attira i cuori. I testimoni non sono supereroi ma uomini e donne che amano, e che voglio far conoscere l’amore della loro vita, pur dentro la loro debolezza. Non abbiamo altre parole da dire di fronte alla morte.
Rivolgendosi per la prima volta alla diocesi di Ales-Terralba, il 12 aprile 1990, monsignor Antonino diceva di vivere “con particolare convinzione” le parole dell’apostolo: “venendo tra voi, non mi presento ad annunciarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza… Io ritengo infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo e questi crocifisso: vengo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione” (1Cor 2,1-3). L’annuncio di Cristo crocifisso e risorto è credibile nella lieta consapevolezza che la propria debolezza è assunta nella testimonianza di Dio. Anche le catene e la malattia testimoniano una Parola che trapassa l’umanità e si diffonde nel mondo.
Per questa testimonianza credibile diciamo il nostro grazie a monsignor Antonino Orrù per la sua opera apostolica, vissuta a Cagliari come vicario nella parrocchia di San Leonardo a Serramanna e, in seguito, in quella di San Benedetto (chiesa di Santa Lucia) in Cagliari dove rimase per 26 anni, fino all’elezione a vescovo di Ales-Terralba. Il 13 maggio del 1990, ricevette la consacrazione episcopale dall’arcivescovo Ottorino Pietro Alberti proprio presso questa Basilica di Bonaria (ha voluto il suo funerale nel luogo dove è iniziato il suo ministero apostolico, perché l’origine coincide con il fine). Diciamo il nostro grazie per la sua squisita paternità e bontà e per la carità vissuta fino alla fine, anche nel letto sul quale è stato costretto per tanti anni, assistito con amore dalle care sorelle giuseppine. Monsignor Roberto Carboni dirà poi della fisionomia pastorale e umana di monsignor Orrù nella diocesi di Ales-Terralba.
La vita è ben spesa solo se si consuma nella carità, per la gloria di Dio e la salvezza dei fratelli. “Sopporto ogni cosa – continua San Paolo – per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo, insieme alla gloria eterna” (2Tm 2,10). Cristo è morto e risorto per amor nostro; ciò che vale alla fine non può che essere l’amore, non il potere o il successo. Resta la carità, il vivere “per” altro da sé: per Cristo e per i fratelli.
Il motto episcopale di Mons. Antonino Orrù, “Dilatentur spatia charitatis”, mi ha fatto venire in mente una grande verità insegnata da Tommaso d’Aquino, ripresa poi da Giovanni Paolo II in un documento dedicato proprio ai Vescovi: “Nessuno è un autentico pastore, se non divenendo, attraverso la carità, una cosa sola col Cristo e, così, membro del vero Pastore” (Nullus enim est pastor bonus nisi per caritatem efficiatur unum cum Christo et fiat membrum veri pastoris: Super Ev. Joh., X, 3). La carità non è una attività, ma un legame d’amore che ci unisce a Cristo e ci rende sue membra dell’unico Pastore. Nella carità diveniamo una sola cosa con lui, assumendone lo sguardo, i sentimenti, il pensiero. Ci affatichiamo in tante iniziative pastorali, e questo è inevitabile, ma il segreto di ogni possibile fecondità, nella giovinezza e nella maturità, nella debolezza della vecchiaia e nella malattia, come infine nella stessa morte è questa carità che ci rende una cosa sola con Cristo. Ciò vale per noi sacerdoti, come per una mamma, un educatore o un amico. “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; / se perseveriamo, con lui regneremo; / se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; / se siamo infedeli, lui rimane fedele, / perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,11-13). Ciò che più conta è essere “con” e vivere “per” Cristo e i fratelli. Diveniamo così certi di Cristo morto e risorto, cuore della vita, motivo di ogni tentativo, origine e fine di ogni missione.
“Se il chicco di grano, caduto a terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,23-25).
Preghiamo perché la carità che ha unito in vita monsignor Antonino a Cristo crocifisso e risorto gli apra adesso gli occhi nell’eternità. Veda Dio e nella pienezza dell’amore goda la gioia senza fine.