3 maggio 2022, omelia per Sant’Efisio
Chiesa di Sant’Efisio in Nora
Ap 12,10-12a
Gv 12,24-26
Mi sono chiesto: dove era stata nascosta, in quale silenzio era stata custodita la festa di fede e preghiera, di canti e colori, che il primo maggio è esplosa in modo così vivido e che ha illuminato questi nostri giorni come un nuovo inizio, la promessa di una rinascita?
“Dopo due anni”: è una delle espressioni che più abbiamo usato nei nostri discorsi. Dopo due anni di silenzio forzato, nell’inverno della pandemia, la festa appare come una primavera di speranza, è come riemersa da una sapienza antica e un paziente lavoro collettivo. La bellezza di questa festa non è figlia dell’improvvisazione o dell’istinto dei singoli, ma di una memoria che viene da lontano e dell’impegno paziente di una comunità di vita e di destino. Chi ha preparato questi giorni, l’anonima sarta che ha cucito il più nascosto elemento del costume della più piccola, come lo sconosciuto operario che ha sistemato le transenne, hanno così inserito la propria capacità individuale in un’opera collettiva, unendo la propria personalità unica, all’appartenenza ad un popolo che, nella festa del Signore risorto, canta la vita. La festa di Sant’Efisio custodisce la memoria di questo popolo e il valore dell’impegno collettivo. Sia questo il segno della nostra ripartenza, di quella rinnovata primavera che invochiamo con tutto il cuore.
Sant’Efisio ci ha condotto qui, in questo armonioso intreccio di terra e mare, di antiche civiltà e palpitante presente. È il luogo del suo martirio, dell’offerta suprema della vita per amore a Cristo e per la salvezza dei fratelli. Qui, a imitazione del Signore, egli ha consegnato l’anima nelle mani del Padre misericordioso. Una sconfitta, una fine senza gloria e futuro?
Impariamo in questo luogo nuovamente la lezione del Vangelo: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25). Per la fede nel Signore risorto, il mondo è sempre più di quello che sembra apparire, la fede sa attendere e riconoscere nella realtà presente i segni di un nuovo inizio. Come l’alba che si forma misteriosamente nel silenzio e nel segreto della notte, la risurrezione di Cristo fa sempre germogliare un mondo nuovo, un nuovo inizio. La speranza cristiana scorge nella profondità delle cose il cammino del Risorto e quindi la manifestazione, anche solo in germe, della creazione nuova.
Siamo certi che i padri che nel 1657 iniziarono questa straordinaria processione portavano nel cuore la gratitudine per la fine dell’epidemia della peste, la trepidante speranza per un nuovo inizio e la consapevolezza che quella primavera era stata preparata, e come formata dalla carità del popolo cristiano. Anche noi siamo grati al Signore che, per intercessione di Sant’Efisio, ci è stato vicino in questi anni, ha camminato con noi, è entrato nelle case degli ammalati per confortare e sostenere, è entrato nelle corsie degli ospedali come divino paziente e medico, nei luoghi di carità come povero e benefattore, era nei cimiteri per asciugare le lacrime e promettere la vita eterna. Il cuore che si gonfia nella speranza per questa primavera di rinascita è anche colmo della memoria di tanta sofferenza e della gratitudine per tanto amore. Non può esserci alcun futuro degno dell’uomo che dimentichi la storia, il travaglio vissuto, e oggi la sofferenza enorme della violenza e della guerra, il suono delle armi e l’odore della morte. Il futuro degno dell’uomo è quello che non dimentica nulla. Senza memoria siamo sempre più incerti e forse anche meno liberi. Questo luogo rende contemporaneo a noi il seme d’amore e il frutto di risurrezione da cui si origina la nostra civiltà. Non vergogniamoci delle nostre radici, non vergogniamoci della croce di Cristo: è amore che unisce, è vita che fiorisce.
Il Signore ha camminato con noi in questi anni. E in questi giorni ci ha messi in cammino. Siamo usciti dalle nostre case per accogliere il Signore che passa, il Santo che ci visita. Non siamo stati noi a portare qui il Santo Protettore, è lui che ci ha convocati e fatti uscire da casa. In processione abbiamo attraversato le città, pregato lungo le strade, abbiamo posato gli occhi sulle case e i luoghi di lavoro, ci siamo incontrati. Se le esigenze moderne della viabilità preferiscono l’aggiramento dei centri abitati, la sapienza antica delle processioni non esita ad attraversarne il cuore. La processione non aggira le case degli uomini, le attraversa e le visita. Abbiamo attraversato il cuore delle città unendo le nostre comunità in un unico cammino e destino. La costruzione di questa comunità di fede, vita e lavoro è segno perenne della risurrezione e di ogni vera rinascita. Nel cammino abbiamo riscoperto che con gli uomini non c’è connessione più seria di quella che si realizza nell’incontro, nella visita, nell’andare comune.
In processione abbiamo guardato le nostre case e pregato per quanti lavorano, soffrono e sperano. Lo sguardo è attratto da ciò che amiamo e si modella secondo l’intensità dell’amore: quando amiamo, guardiamo con misericordia, perdonando, desiderando il bene. Morendo Sant’Efisio ha pregato per il popolo che aveva visto lungo il cammino. Quante volte, invece, attraversiamo incuranti le città e le vite degli altri, volgendo lo sguardo da un’altra parte o restando assorbiti dai nostri pensieri e progetti. C’è un legame intrinseco tra l’osservazione amorosa della realtà, di sé e degli altri e la cultura della cura. Si tratta di saper guardare la realtà e ascoltare le sue domande, provando a rispondervi in modo responsabile e creativo. La processione genera l’atteggiamento della cura, fondata sull’etica del “non poter non vedere e sentire”, del saper guardare gli altri, i loro bisogni e problemi, avendone compassione, avvicinandosi ed entrando in comunione. Non possiamo non vedere e non prenderci cura del grido di aiuto di chi soffre. La processione è l’immagine del popolo di Dio in cammino, e come abbiamo attraversato insieme le città, di nuovo insieme, nell’unità della fede, vogliamo attraversare la nostra storia anche in questo frangente di sofferenza per la guerra, guidati dalla fede, carità e speranza cristiane. Attraversiamo insieme il tempo che ci viene incontro.
Insegna papa Francesco: «Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze. La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita. Egli vive tra i cittadini promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia. Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata» (EG 71). Il nostro cammino comune, questo sguardo contemplativo e l’impegno di cura, mi sembrano già il frutto della croce e l’inizio della rinascita. Grazie Sant’Efisio.
Siamo qui, fratelli amati, cari compagni di viaggio, per ravvivare la memoria di Sant’Efisio e per rinnovare il nostro impegno perché il fuoco di fede e amore del nostro santo patrono e dei nostri santi tutti arda anche oggi. Arda questa fiamma che non consuma ma unisce, purifica, riscalda e illumina. Rinnoviamo la promessa di propagare questo incendio di santità di bene perché – come dice un poeta – sia «controfuoco contro la vampa che devasta il mondo» (M. Luzi). Opponiamo questa fiamma di verità e di amore alla vampa della guerra e della violenza, all’incendio che in Ucraina e in tante altre terre, sta uccidendo anche bambini, distruggendo la civiltà, e vuole togliere dignità alle donne. La nostra fede, la carità delle nostre mani sia un argine al male degli uomini. Siamo qui anche per questo, per stringerci la mano nel segno della pace.