10 aprile 2022. Domenica delle Palme, Passione del Signore
Cattedrale di Cagliari
La Chiesa vuole che l’omelia di quest’oggi sia breve. Non tanto, o non solo, per evitare il prolungarsi della celebrazione, ma per non frapporre troppe parole umane tra la nostra coscienza e il racconto della passione e morte di Gesù. Resistiamo al tentativo di levigare con l’eleganza delle parole e l’astrattezza dei concetti il dramma aspro e regale di questa vicenda. In questa storia di passione e amore Dio mostra il suo volto, così come l’uomo mostra se stesso in tutta la ricchezza e contraddittorietà dei suoi sentimenti e atteggiamenti. Dio e l’uomo si esprimono compiutamente e si incontrano sulla croce.
«Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione» (Lc 22,46). Ogni anno la Chiesa ci fa rivivere gli eventi della passione, morte e risurrezione di Cristo per scuoterci dal nostro torpore e imparare a vegliare e pregare accanto a Lui. Perché dormite? Dormiamo quando siamo chiusi in noi stessi e nei nostri sogni, quando non guardiamo la realtà e non sappiamo farci interrogare dagli incontri, dalle immagini che ci raggiungono. Chi dorme è chiuso nella propria solitudine. Siamo chiamati a alzarci e a seguire il Maestro che si incammina verso la croce per l’amore più grande, l’amore che dà la vita. Il Figlio di Dio svuota se stesso e assume la condizione di servo per essere simile a noi, per salvarci dall’interno della nostra condizione mortale (cf. Fil 2,7). Per questa ragione sale sulla croce e scende fino agli inferi. Svegliamoci e alziamoci: il suo cammino è il nostro, la sua passione è la nostra, la sua risurrezione è per noi, per la salvezza della nostra esistenza. Non possiamo sentire il Passio senza immedesimarci, ossia senza leggere la nostra vicenda umana in quella del Signore e la sua nella nostra. Non è forse questa, d’altra parte, la preghiera?
Svegliamoci e partecipiamo alla sofferenza d’amore del Signore. Lasciamoci ferire dal dramma di tanti nostri fratelli che soffrono e muoiono, dalla tragedia della guerra. Quelle donne ucraine sono le nostre sorelle, quei bambini i nostri figli, quegli uomini i nostri padri. Nei fratelli sofferenti, Gesù Cristo continua a sudare «gocce di sangue che cadono a terra» (Lc 22,44). Quando cade a terra un uomo, un fratello, è Gesù che continua a sudare sangue. Perché dormiamo? Troppi uomini, in questi giorni di guerra, cadono a terra perché in balia della volontà arbitraria e irragionevole di uomini malvagi, come pedine utili nel gioco del potere e del dominio. Abbiamo sentito lo stesso Gesù dire amaramente e con realismo che «i re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori» (Lc 22,25). Gesù stesso subisce la stessa violenza. Quando la folla gridò a favore della liberazione di Barabba, Pilato «consegnò Gesù al loro volere» (Lc 23,25). Gesù è consegnato al volere della folla. Non è questa forse la violenza, ossia la consegna dell’uomo alla volontà di altri uomini? E dove può portare questa consegna se non alla morte? Come in questi giorni leggiamo ogni giorno sui giornali. È la tragedia della storia. Gli uomini fatti a immagine e somiglianza di Dio, che hanno un rapporto originario e costitutivo con Lui, vengono continuamente consegnati in balia di altri uomini.
Guardiamo alla croce. Salendo su quel legno, Gesù è tra cielo e terra, rifiutato dall’uomo, e come abbandonato da Dio (“perché mi hai abbandonato”, abbiamo cantato nel salmo responsoriale). Misteriosamente Gesù unisce l’uomo a Dio e gli uomini tra loro. Tende la mano al malfattore che supplica l’eternità, riconoscendo nel condannato che pende dalla croce accanto il Figlio di Dio, e tende ugualmente la mano all’altro crocifisso, a colui che lo disprezza e lo rifiuta, ma che non può impedire quella mano tesa verso di lui. Così Gesù unisce gli uomini, tendendo le mani verso tutti, come in un abbraccio. Lasciamoci abbracciare, andiamo a Cristo, come il buon ladrone chiediamo che si ricordi di noi e di questa nostra storia ferita e sanguinante, e come Pietro non vergogniamoci di piangere, davanti al Suo volto, il nostro pentimento.
Consegnato da Pilato alla volontà omicida degli uomini, Gesù si consegna, nel momento estremo e solenne della storia, all’amore del Padre. «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Il destino di Gesù è consegnato, non alla volontà degli uomini, ma alle mani del Padre. In tal modo Egli attira anche noi al Padre e ci sottrae alla volontà ferita degli uomini, e alla nostra stessa volontà chiusa. Ci libera da noi stessi. Questa nostra umanità, sfinita per la sua debolezza mortale, adesso è definitivamente consegnata nelle mani di un Padre fedele e ricco di misericordia. È questa la nostra certezza, la ragione della nostra speranza, la sorgente del nostro amore. Viviamo e lavoriamo, preghiamo e lottiamo per consegnare questa nostra storia nelle mani misericordiose di Dio.