Chiesa di Sant’Efisio in Nora, 1 maggio 2021
Anche quest’anno, come lo scorso, questa inaspettatamente lunga pandemia ci costringe a una grande povertà. Il voto in onore di Sant’Efisio, che le autorità emisero nel 1652 in occasione di una terribile epidemia di peste, viene sciolto in mancanza delle manifestazioni di festa, di colori, suoni e odori, parole e persone che accompagnano solitamente la processione. Che questa povertà non ci tolga la gioia e ci apra invece all’essenziale dell’esistenza. Nell’oscurità, l’apparire di una luce dà gioia e speranza.
«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). La glorificazione di Gesù Cristo doveva passare dall’umiliazione della passione. La sua morte diviene misteriosa ed efficace semina, come un granello di frumento che feconda la terra, dà origine a una nuova pianta e si moltiplica nei semi della nuova spiga. La vera sterilità è l’egoismo di chi vuol conservare la propria vita restando chiuso nel proprio io, senza seguire il Signore e aprirsi agli altri uomini.
Il popolo di Sant’Efisio testimonia in modo eloquente questo mistero di moltiplicazione. Il sacrificio di fede del giovane soldato ha fecondato questa terra di Sardegna e misteriosamente generato e sostenuto la fede di un popolo che canta la «salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo» (Ap 12,10). Questo popolo è la vera testimonianza della risurrezione, di una vita più forte della morte e di un amore più grande dell’odio.
Tutto questo acquista particolare valore all’interno della crisi che stiamo vivendo, che forse un anno fa speravamo prossima alla fine. Un’altra prova, se vogliamo, che non abbiamo il controllo di tutto, che non dominiamo totalmente né le incertezze della natura né i destini degli uomini e dei popoli. Il Coronavirus insegna che l’imprevisto ha sempre un ruolo cruciale nella storia. Avevamo forse occultato la nostra fragilità e anche la morte era stata confinata a evento privato, da consumare nel lutto individuale o familiare. Con l’epidemia, invece, proprio la malattia e la morte hanno fatto irruzione nell’immediato della vita sociale. Ogni giorno contiamo i contagiati e i morti. Ma i numeri non dicono tutto. Non dicono la pena dell’impossibilità dei congiunti e amici di accompagnare la persona morente nei suoi ultimi giorni e ore oppure il travaglio dei malati che vivono una condizione di radicale vulnerabilità. I numeri non dicono le tante e profonde domande che abbiamo nel cuore: qual è il destino dell’uomo? A chi e a cosa è affidata la nostra esistenza? Che dire del senso della nostra parabola terrena e della morte? Nel silenzio che anche quest’anno circonda questo pellegrinaggio lasciamo che sia il Santo protettore a parlarci della risurrezione di Cristo, della bellezza di un’esistenza donata per amore e della vita che non conosce tramonto. Siamo tornati a Nora per rinnovare la certezza che l’ultima parola sull’uomo non è il caos o l’assurdo ma un Amore senza misura che nulla perde di quanto gli è affidato. D’altra parte, se l’uomo non sa che il bene ha già vinto il male, che l’amore supera la morte, se all’uomo non viene annunziato che tutto questo è accaduto e accade in Dio fatto uomo, morto e risorto, in Gesù Cristo, dove potrà trovare le ragioni sufficienti, la speranza necessaria, la pazienza infinita per costruire e ricostruire continuamente la propria esistenza personale, familiare e sociale? La fede offre ragioni, speranze, e tanta pazienza per mobilitare energie per il cambiamento, perché ci si risollevi una volta caduti.
Nel momento del martirio il Santo ha chiesto alla misericordia divina la difesa della città del popolo cagliaritano. L’amore al Signore è tutt’uno con l’amore alla città degli uomini. La santificazione è un cammino comunitario, perché l’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti i fratelli ai quali egli si dona, che già sono o che diventeranno suoi. Scriveva Benedetto XVI che la «vita vera, verso la quale sempre cerchiamo di protenderci, è legata all’essere nell’unione esistenziale con un “popolo” e può realizzarsi per ogni singolo solo all’interno di questo “noi”. Essa presuppone, appunto, l’esodo dalla prigionia del proprio “io”, perché solo nell’apertura di questo soggetto universale si apre anche lo sguardo sulla fonte della gioia, sull’amore stesso – su Dio» (Spe salvi, 14). La gioia è nel riconoscere il proprio cammino dentro quello di un popolo.
Appartiene all’essenziale dell’esistenza la pratica della solidarietà e il gusto dell’amicizia, la partecipazione alla vita della comunità e la comune costruzione del suo futuro. Abbiamo compreso quest’anno di essere dipendenti gli uni dagli altri, a prescindere dalle latitudini e dai colori della pelle. Siamo interdipendenti, collegati da fili invisibili di responsabilità e influenza. Eppure facciamo ancora fatica a riconoscerci appartenenti a un’unica e solidale comunità di destino. Per il superamento della pandemia e la costruzione di un mondo migliore, abbiamo bisogno di unità, superando l’enfasi sull’io e abbracciando la logica e l’etica del noi.
Il mondo che nascerà da questa epidemia è quello che stiamo già contribuendo a edificare in forza delle nostre speranze e della nostra apertura agli altri. Facciamo nostre le parole di Papa Francesco: «Nel mezzo della crisi, una solidarietà guidata dalla fede ci permette di tradurre l’amore di Dio nella nostra cultura globalizzata, non costruendo torri o muri… che dividono, ma poi crollano, ma tessendo comunità e sostenendo processi di crescita veramente umana e solidale» (Udienza generale del 2 settembre 2020). Come le donne che lavorano nei telai i famosi tessuti sardi, non smettiamo di tessere «comunità che custodiscono i piccoli particolari dell’amore» (Gaudete et exsultate, 145). Proviamo a immaginare insieme – insieme! – le trasformazioni sociali degne dell’uomo e delle nostre comunità per superare le iniquità del passato e costruire un altro futuro.
Il Santo Protettore ci mostra il senso vero del vivere e le ragioni della convivenza, ci esorta ad abbandonare ogni forma di indifferenza e a prenderci cura della sofferenza e del disagio degli uomini, ci invita a guardare con ammirazione e gratitudine gli esempi di generosa dedizione di chi rischia, e talora dona, la propria vita per proteggere le nostre.
Sant’Efisio, patrono della nostra Arcidiocesi e difensore del popolo cagliaritano, intercedi presso il Signore onnipotente e ricco di misericordia, proteggici e guariscici dai mali presenti.