Cattedrale di Cagliari, 2 aprile 2021
«E, chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30).
La morte in Croce di Gesù avvenne in seguito ad una serie di consegne. Gesù stesso dichiara a Pilato: «se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei» (Gv 18,36). A questi, però, non era consentito condannare a morte nessuno e quindi consegnarono Gesù a Pilato. «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato» (Gv 18,30). Lo stesso Pilato, nel dialogo con Gesù, usa l’espressione: «la tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me» (Gv 18,35). Questo è il peccato: piuttosto che accogliere e ascoltare Gesù, volerlo eliminare dalla scena della vita, dall’orizzonte della storia personale e collettiva consegnandolo a qualcun altro, quasi per non assumersi del tutto la responsabilità del rifiuto. Per questo, «chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande», dice il Signore a Pilato. Infine, questi lo consegnò ai capi dei sacerdoti e ai soldati perché fosse crocifisso (Gv 18,16).
Anche in questo il Signore porta con sé tutta la drammaticità della nostra condizione. Quante volte abbiamo sofferto per l’impressione di essere consegnati alla cattiveria degli uomini o alla loro maldicenza, o in balia degli avvenimenti caotici o della malattia? Soffriamo per il sentimento dell’abbandono, perché non possiamo gestire totalmente la nostra vita. Consegnati, ci accorgiamo che non ci apparteniamo. Anche in questo anno, non ci siamo sentiti in balia di avvenimenti che sfuggivano al nostro controllo? E poi la morte, e le sue domande. A chi siamo consegnati, a quale potere? A quello del caos, del nulla? A chi è consegnato il nostro destino? Nelle mani di chi è affidata l’esistenza, se si rivela così fragile? Per sfuggire a questo sentimento, a volte finiamo con il consegnarci al potere di qualcun altro, al potere di un idolo che ci dà l’illusione provvisoria di poter controllare la vita. Ma è solo un’illusione. La Lettera agli Ebrei mostra che nella passione il Signore ha portato davanti a Dio tutto il dramma dell’essere umano, i suoi problemi e le sofferenze, e lo ha fatto «con forti grida e lacrime» (Eb 5,7).
La stessa Lettera agli Ebrei afferma che il Signore Gesù fu esaudito nelle sue suppliche (chiedeva la vita) in forza del «suo pieno abbandono» (Ebr 5,7). Ci soccorre nella comprensione di questo sentimento il versetto del salmo responsoriale: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (cf. Sl 31,6). L’evangelista Luca narra che questo versetto venne citato da Gesù quando gridò a gran voce nel momento della morte (Lc 23,46). Le parole del Signore rimasero tanto impresse nella memoria dei discepoli che furono fatte proprie dal primo martire Stefano durante la lapidazione (AT 7,59). «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Gesù affida totalmente e in piena fiducia il suo destino al Padre perché lo custodisca nella verità e con amore. Per questo pieno e filiale abbandono, Egli lo risuscitò il terzo giorno.
No, non sono i capi dei sacerdoti e Pilato a consegnare Gesù al potere della morte, è Lui che si lascia liberamente consegnare «nelle mani degli uomini» per amor nostro, affidando il suo destino alle mani del Padre. E in questa ultima consegna tutto viene compiuto. L’eccomi del Figlio al Padre per la nostra salvezza avvenuta nel cuore dell’eternità, sulla croce trova il suo compimento d’amore. Per noi, per la verità della nostra vita, perché anche noi possiamo non aver paura, e non cedere alla tentazione della disperazione e dello sconforto, o quella di affidarci a qualche potere umano. Non siamo in balia del caos o del nulla. San Giustino diceva che con queste parole il Figlio di Dio ci insegna «a chiedere che le nostre anime non cadano in potere di alcuna potenza». Nelle mani di altri, il nostro volto si corrompe.
Guardano la croce siamo certi che non siamo abbandonati dal Padre. Cristo si consegna nelle sue mani: nella sua consegna c’è la nostra, perché solo nelle mani del Padre che ci ha creati e amati tanto da dare per noi il Figlio suo, possiamo essere custoditi per la vita piena, per una speranza che non muore.
Guardiamo la croce e chiediamo di poter anche noi vivere quella certezza profonda, quella pace, che sgorga dalla fiducia nel Padre e dalla volontà di consegnarsi a Lui. Nelle sue mani buone e fedeli tutto di noi è custodito per la vita eterna.