Basilica di N.S di Bonaria in Cagliari, 1 aprile 2021
«Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20). Nella Messa del Crisma, memoria del nostro sacerdozio, rinnoviamo le promesse sacerdotali e, come nella Sinagoga di Nazaret, gli occhi dei nostri cuori (cf. Ef 1,18) sono fissi su Gesù. Nei momenti importanti, dobbiamo saper tornare alle realtà fondamentali che sono anche le più semplici. La sorgente originaria e perenne della nostra vocazione è la carità del Padre che si manifesta in Gesù Cristo. Possiamo davvero rinnovare l’impegno della nostra dedizione solo nella contemplazione della Sua presenza e nell’ascolto delle Sue parole. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). In questo oggi, e in ogni momento della storia, tutte le promesse si compiono nella persona di Gesù Cristo. È lui il «consacrato con l’unzione»; pieno dello Spirito è inviato dal Padre «a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). È consacrato per una missione di liberazione.
Per raggiungere l’uomo e aprirgli la via al Padre, Gesù Cristo è morto ed è disceso agli inferi. È risorto e su di lui la morte non ha più potere (cf. Rm 6,9). Consacrato in Spirito Santo e potenza, è passato «beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo» (At 10,38). Ha sentito compassione delle folle, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore (cf. Mt 9,35-36). È il Buon Pastore che conosce, difende e guida il suo gregge (cf. Gv 10) e va in ricerca, con predilezione,di chi è smarrito e lontano (cf. Mt 18,12-14).
Noi partecipiamo in modo peculiare alla consacrazione e alla missione di Cristo, poiché «Cristo, per continuare a realizzare incessantemente [la] volontà del Padre nel mondo per mezzo della Chiesa, opera attraverso i suoi ministri» (PO 14). In noi il Signore prolunga nella storia la sua missione d’amore. Nell’annuncio della Parola, nella celebrazione dell’Eucaristia e della Riconciliazione, nell’amicizia e accoglienza, nell’amore donato fino alla fine, siamo fatti quasi sua trasparenza in mezzo al popolo che ci è affidato. Lo stupore per questa chiamata gratuita, senza alcun merito, sia motivo permanente della nostra gioia.
Per questa unione intima con Cristo, il Messia re, sacerdote e profeta, non possiamo non sentirci personalmente sollecitati dall’invito ad andare verso gli uomini con coraggio e umiltà, proprio come il Figlio dell’uomo che «è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10). Il Santo Padre ci esorta a lasciarci attirare con semplicità dentro la missione: «Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Evangelii Gaudium 48). Sia questa la nostra inquietudine e preoccupazione: che tutti gli uomini possano conoscere l’amore di Cristo, imparando a vivere non «per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro» (2 Cor 5,14-15).
Di questa santa inquietudine ha parlato anche Benedetto XVI nella Messa del 6 gennaio 2013. Si domandava come debba essere un uomo a cui si impongono le mani per l’ordinazione episcopale, ma anche presbiterale: «dev’essere un uomo per gli altri. Ma può esserlo veramente soltanto se è un uomo conquistato da Dio. Se per lui l’inquietudine verso Dio è diventata un’inquietudine per la sua creatura, l’uomo… Non è solo l’uomo ad avere in sé l’inquietudine costitutiva verso Dio, ma questa inquietudine è una partecipazione all’inquietudine di Dio per noi. Poiché Dio è inquieto nei nostri confronti, Egli ci segue fin nella mangiatoia, fino alla Croce». Il presbitero è un uomo che vive in sé la ricerca di Dio da parte degli uomini e la ricerca degli uomini da parte di Dio. È un uomo a cui gli altri, soprattutto i più bisognosi, stanno a cuore.
In questo tempo di pandemia, ci siamo lasciati toccare dalla condizione dei malati e dei poveri, con esempi di generosità davvero commoventi. D’altra parte, l’unzione per il sacerdozio ha sempre significato anche l’incarico di portare la misericordia di Dio agli uomini. Il presbitero è trasparenza di Cristo in mezzo al suo popolo anche facendosi presente a coloro per i quali, altrimenti, non ci sarebbe nessuno, in città e in campagna, nelle coste e nell’interno, in Brasile e in Africa.
Come non lasciarci inquietare dalle notizie circa i nostri giovani, molti dei quali manifestano, in modo talvolta scomposto e violento, una difficoltà, un disagio rispetto alla vita? Come presbiteri e come Chiesa di Cagliari non possiamo non avere a cuore i giovani e tentare di parlare alla loro ansia di felicità e libertà, invitandoli a partecipare alla vita bella e buona del vangelo. Diceva Sant’Ignazio di Antiochia che il cristianesimo «non è opera di persuasione, ma di grandezza». Per questa intima convinzione possiamo rivolgerci con fiducia al cuore dei giovani, costitutivamente in cerca di una grandezza nella quale trovare forza e gioia e per la quale dare la vita.
Sono convinto che solo nell’ascolto del Signore presente e nella generosità con la quale andiamo incontro agli uomini possano darsi sia il rinnovamento della Chiesa che il consolidarsi della comunione tra noi nell’unico presbiterio. Gli altri mezzi di riforma e condivisione, pur generosi, rischiano di essere troppo umani, e quindi sempre insufficienti.
Carissimi fratelli e figli, padri e amici, concludo ricordando le parole con le quali il Sinodo dei Vescovi del 1990 ha compendiato il mistero della nostra esistenza: «La vita e il ministero del sacerdote sono continuazione della vita e dell’azione dello stesso Cristo. Questa è la nostra identità, la nostra vera dignità, la sorgente della nostra gioia, la certezza della nostra vita».
Per tutti l’augurio della grazia, misericordia e pace di Dio Padre e di Cristo Gesù Signore nostro.