Cattedrale di Cagliari, 28 marzo 2021
Guardiamo la Croce del Signore, unica nostra speranza. La liturgia di questa Settimana Santa ci fa alzare lo sguardo e invita ciascuno ad avere «sempre presente l’insegnamento della passione, per partecipare alla gloria della risurrezione» (Colletta). La memoria di questi giorni non marca la distanza dagli avvenimenti del Signore, ma è un “aver presente” che riconosce nella nostra contemporaneità, nell’oggi di questa vita, la presenza di Gesù Cristo, che per noi è morto e risorto. Egli è eternamente presente.
Sospeso fra terra e cielo, il Signore ci ama sino alla fine, sino all’estrema possibilità del dare la vita per amore. Egli stende le sue braccia verso il peccatore pentito, che chiede pietà, e anche verso l’altro, che guarda da un’altra parte, chiuso nella sua disperazione scettica. Neppure questi però può impedire la mano stesa del Signore verso di lui. La linea verticale della croce supera tutta la distanza tra l’uomo e Dio, mentre la linea orizzontale raggiunge tutti i confini del mondo. Essa ha anche le dimensioni di tutta la storia, perché sotto la croce, sulla croce, è stata raccolta ogni colpa e ogni amore, dal primo all’ultimo uomo.
La liturgia di oggi ci invita ad accogliere il Signore che viene, che entra in Gerusalemme: «giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Zc 9,9). Con entusiasmo e fiducia, facciamolo entrare nelle nostre famiglie e nel vivere sociale, negli ambienti di lavoro e negli ospedali, nelle case di riposo e nelle scuole. Accogliamolo perché anche ora, tra noi e in noi, Egli condivida, ami e risusciti. Egli viene per far rivivere e togliere la pietra che ci opprime, tutte le pietre che impediscono il passaggio alla vita; viene per riaprire la strada verso l’eternità di Dio e verso la prossimità del fratello; viene per riaprire la via verso la profondità della nostra umanità.
Il Signore sale sulla croce attraversando tutta la condizione umana e le contraddizioni di cui essa è fatta: cammina verso la croce provando angoscia e tristezza, passando tra l’ostilità degli capi religiosi, il calcolo politico di Pilato, la paura dei discepoli che fuggono, la debolezza di Pietro che rinnega, la derisione della gente che passa sotto la croce. Attraversa tutto perdonando, riconciliando e raccogliendo ogni gesto di amore, il pentimento di Pietro come la pietà di Giuseppe d’Arimatea, il pianto delle pie donne come la presenza del discepolo che ama e soprattutto la nuova offerta di sé della Vergine Madre.
Qual è allora la strada della croce? La via della croce è la nostra umanità, perché noi siamo fatti proprio così. Pensiamo a questo periodo di pandemia: paura e carità, morte e amore, disperazione e preghiera. E Gesù cammina dentro tutto questo, per dare compimento alle promesse di bene e di vita. Nulla è al di fuori del suo sguardo e del suo abbraccio. Cammina dentro la nostra confusione perché anch’essa sia abitata da Dio. Giunge fino al punto di gridare l’abbandono del Padre perché ogni momento della nostra umanità sia abitata da Dio. Possiamo incontrare il Destino in ogni circostanza, ad ogni tornante del cammino.
Seguire Gesù significa allora ripercorrere tutte le dimensioni della nostra umanità con lo sguardo del crocifisso, fermi nel suo amore e fiduciosi nel suo perdono. Come possiamo non amare questa nostra vita attraverso la quale Egli continua a passare e per la quale continua a dare se stesso? Come non abbracciare tutti gli uomini, soprattutto i più fragili e bisognosi, tutti amati dall’Uomo della croce?
Accogliamo il Signore e seguiamo il suo passaggio salvifico nella nostra umanità. Non possiamo da soli scendere nella profondità dell’esistenza umana senza turbarci. Solo seguendo Cristo possiamo stare davanti all’angoscia e alla morte, fino all’estremo grido, senza smarrirci e con speranza.
Seguiamo il Signore nella via della croce implorando di poter avere i suoi stessi sentimenti: «egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2,6-7). Il segreto della vita nuova che Cristo ci trasmette consiste in questo “svuotarsi di se stessi”, che Egli ha scelto e incarnato fino alla morte in croce. Il paradosso cristiano è che si trovi pienezza e compimento in questo svuotarsi. Il nostro io è cosa troppo piccola, troppo umana, per colmare l’abisso del cuore. Se restiamo pieni di noi stessi, saremo condannati all’insoddisfazione. Domandiamo un cuore vuoto e dilatato, che si lasci riempire dall’amore di Cristo, così largo da poter accogliere il Dio che viene e in Lui ogni nostro fratello uomo.
Ravviamo la memoria e riconosciamo: Davvero quest’uomo è Figlio di Dio!