Cattedrale di Cagliari, 25 dicembre 2020
Natale del Signore 2020 – Messa «In Die»
Tra le più terribili manifestazioni della pandemia, per la quale trepidiamo, c’è questa caratteristica che conduce alla morte spirituale, per cui si muore, si soffoca, per mancanza di aria, si ha sete di aria. Come la vita dell’uomo senza Dio. Come la vita dell’uomo chiuso in sé stesso, come se il cielo rimanesse chiuso
Se la vita dell’uomo rimanesse costretta all’interno del tempo davvero moriremmo senz’aria. Perché siamo fatti per l’infinito, siamo fatti per la vita, per ciò che dura e che si compie nell’eternità. Il mondo intero sarebbe piccola cosa e una lunga vita non potrebbe mai saziare il nostro vero desiderio.
Noi possiamo respirare completamente solo in Dio, solo in una pienezza infinita d’eternità. Ma Dio nessuno l’ha mai visto: questa è la condizione dell’uomo che aspira a conoscere ciò che resta distante, ciò che resta inconosciuto. Ma questa è la gioia del Natale: l’aver appreso, con grande sorpresa, con meraviglia, con stupore che non viene mai meno, che Dio si è fatto uomo, che il Verbo si fa carne per rendersi conoscibile dentro la nostra carne, come un fatto della nostra storia, così che la nostra inquietudine può essere pacificata non in una scalata verso la sommità del cielo ma nell’umile accoglienza con cui osserviamo il Signore che viene nella nostra storia, che sempre è legato alla nostra carne. Per cui tutto il senso dell’uomo sta in questa accoglienza del Signore che si manifesta tra noi. Egli “venne ad abitare”, continua ad abitare tra noi. Si fa carne il Verbo di Dio per aprire la nostra carne al Verbo eterno, per dare alla nostra carne umana, alle nostre vicende storiche una profondità, che nemmeno pensavamo esistesse, la stessa profondità di Dio, per cui non possiamo più cercare Dio aldilà delle nuvole ma nella profondità terrena, nella profondità della nostra storia, nella profondità anche di quella realtà che si fa prossima alla nostra carne, così fragile, vulnerabile così finita, eppure preziosa, tanto che Dio si lega alla nostra carne, assume su di sé la nostra debolezza, per vincere tutto, per vincere e dare unità alla nostra vita. Questa gioia sorprendente, questa meraviglia impensabile un attimo prima, non era possibile un attimo prima. E’solo grazia. Fa scaturire la vita come memoria. Diceva un antico eremita «Allora compresi che la tutta vita sarebbe trascorsa a ricordare ciò che mi era accaduto, il suo ricordo riempie il mio silenzio». Non è un silenzio che marca la distanza tra il nostro presente e quel momento ma il silenzio di chi si accorge, vivo e operante della presenza del Verbo di Dio tra di noi, morto e risorto tra di noi, dentro la nostra storia.
Il silenzio di chi adora Dio presente. La memoria non marca la distanza, ma si riempie della presenza di Dio. Siamo salvati da un Dio che poteva aiutarci in tanti modi invece è venuto nel mondo. Poteva limitarsi ma per noi ha dato sé stesso. Per questo gli siamo grati e dalla gratitudine non può nascere se non la carità. Non la carità di chi offre prestazioni, ma la carità di chi dà se stesso e poi la vita stessa come attesa: è questo bene che ti riempie la vita, questa gioia che illumina anche le tenebre più oscure. Non può vincere questa luce neanche la tenebra della pandemia. Questa luce è come una promessa, la promessa di una piena manifestazione, di un momento finale in cui tutto sarà ricapitolato in Cristo, perché egli divenga tutto in tutti. Che questa gioia diventi memoria per gli altri, che frema dell’attesa di Dio.