Basilica di Nostra Signora di Bonaria, 30 maggio 2020
Eccellenze Reverendissime, carissimi Presbiteri, Diaconi, seminaristi, carissimi fedeli tutti,
l’odierna celebrazione della Messa del Crisma non può essere vissuta come un semplice “recupero” (per usare un’espressione in voga in altri ambiti sociali) di quella che si sarebbe dovuta tenere il Giovedì Santo. Non è un recupero, è una cosa nuova, è un nuovo incontro con il Signore Gesù, da vivere con animo aperto e rinnovato, sorpreso e lieto. Come nuove sembrarono le parole del profeta Isaia in bocca a Gesù, quel giorno nella Sinagoga di Nazaret: «Lo Spirito del Signore è sopra di me» (Lc 4,18). Gli occhi di tutti fissi su di Lui e poi la rivelazione: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4,21). Le parole del profeta sono antiche e già ascoltate ma ottengono un’inaudita e imprevedibile novità in bocca a Gesù, nel quale acquistano la densità della carne e del sangue e una sorprendente profondità. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». È l’incontro dell’oggi a dare novità alle parole che ci raggiungono dal passato. Il passato non può compiersi e riconciliarsi che nell’incontro presente con la Persona di Cristo. È vero che il passato aiuta a comprendere il presente, ma per noi cristiani è soprattutto nell’incontro con Cristo, che accade sempre nel nostro oggi, che ogni parola può compiersi e ogni passato e storia possono essere illuminati e pacificati. Non c’è nulla di più importante di quest’oggi.
Nella fede ci apriamo alla profondità del nostro tempo per riconoscere e domandare il passaggio di Cristo. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Lo Spirito di Dio voglia conservarci un animo semplice, l’animo di chi fissa lo sguardo su Cristo dentro ogni situazione e occasione della vita, per aprire il cuore al suo avvento.
Non c’è fatto, incontro o circostanza in cui non risuoni la voce di Cristo, essendo Lui la pietra angolare, centro e fine di tutta la storia umana. «Dice il Signore Dio: io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (AP 1,8). Questa è la Sua onnipotenza: viene, viene sempre. È il Veniente. Con il rito della benedizione degli oli sottolineiamo che Cristo santifica ogni realtà e situazione di vita. Cristo è Onnipotente e viene, viene a raggiungermi nel mio oggi.
Il nostro tempo è ancora segnato dai mesi di imprevista e inaudita crisi generata dalla diffusione della pandemia, con il suo seguito di morte e sofferenza, ma anche di carità, riflessione e preghiera. Quel che rimarrà di questo tempo è soprattutto il cambiamento che il Signore ha operato nel nostro sentimento e pensiero, nel nostro rapporto con Lui, nella Chiesa e con i fratelli uomini. Per i cristiani anche la sofferenza può ricevere un senso se viene com-presa in un atto di amore e diventa un sincero affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e la cui potenza supera ogni debolezza umana. Il Signore, come abbiamo sentito nella prima lettura, fascia le piaghe dei cuori spezzati e consola tutti gli afflitti (cf. Is 61,1).
Il Santo Padre nel Momento straordinario di preghiera del 27 marzo scorso, avvertiva che la tempesta vissuta ha smascherato la nostra vulnerabilità e lasciato scoperte «quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità». Il tempo della crisi è tempo di scelta: «il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri». Anche per noi è tempo di scelta. Chiediamo che la croce fiorisca e rimanga in noi e nel nostro popolo il frutto di una crescita nella fede e nell’amore.
Il rinnovo delle promesse sacerdotali sia per tutti e ciascuno un momento di scelta, nel desiderio di lasciarsi unire più «intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio» e rendere così sempre più vere le parole ascoltate nel giorno della nostra ordinazione: «conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo Signore». Questo mistero di unità e fecondità può compiersi solo nell’amore, la cui dinamica è quella di un’infinita crescita. «Col crescere della carità – insegna S. Tommaso d’Aquino – cresce sempre più anche la capacità di un aumento ulteriore». Con umiltà e desiderio chiediamo questo amore che ci unisce a Cristo e ci assimila sempre più al Suo Cuore.
In questo nuovo inizio, domini nelle nostre giornate e nei nostri tentativi indomiti, nelle nostre azioni pazienti e tenaci, l’«olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto» (cf. Is 61,3). Il nuovo inizio della nostra vita comunitaria sia nella Chiesa che nella società sia segnato da quell’amore alla vita che la letizia e la lode sanno esprimere e comunicare a tutti. Abbiamo bisogno di questa gioia! La mestizia è spesso frutto della resistenza a «rinunciare a noi stessi», mentre la vera gioia è la dilatazione dell’ampiezza del cuore. Ricostruiamo con ardore la vita delle nostre comunità come spazio solidale e aperto al futuro, rispettoso della vita e dominato dalla gioia del Signore presente e dal gusto dell’accoglienza reciproca.
Abbiamo sentito in questi mesi quanto sia radicato il bisogno di comunione. Tanto più l’uomo scopre la propria debolezza quanto più sente il bisogno di una compagnia fedele e di un’amicizia. Solo l’esperienza affidabile dell’amore può tenere uniti gli uomini in un legame solidale. «La fede – scrive il Santo Padre nella Lettera enciclica Lumen fidei – fa comprendere l’architettura dei rapporti umani, perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio, nel suo amore, e così illumina l’arte dell’edificazione, diventando un servizio al bene comune. Sì, la fede è un bene per tutti, è un bene comune, la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una città eterna nell’aldilà; essa ci aiuta a edificare le nostre società, in modo che camminino verso un futuro di speranza» (n. 51). Nella letizia e nella lode del Signore, la Chiesa offre umilmente a tutti la sua esperienza viva di fede, speranza e carità perché si generi una nuova capacità di incontro e di dialogo tra gli uomini e si favorisca l’amicizia sociale nella ricerca del bene comune.
Per il bene di tutti, infatti, sono la grazia, la misericordia e la pace che il Signore ci dona nel Suo Spirito, nel quale ogni giorno invochiamo: «Vieni, Signore Gesù» (Ap. 21,20).
Vieni ancora oggi a
portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore.
Vieni, Signore Gesù